Recentemente mi è capitato di leggere e di confrontarmi con un articolo decisamente fuori dall’ordinario circa il senso del viaggio e del viaggiatore.
Una famosa rivista di psicologia, a cui sono abbonata da tempo, ha nuovamente dedicato uno spazio alla psicologia del turismo attraverso una riflessione molto interessante di Jean Didier Urbain, dottore in antropologia sociale e culturale, nonché docente all’Università di Parigi e autore di numerosi testi.
Ho pensato, così, di riassumerti i passaggi principali di questo percorso conoscitivo per offrirti una visione diversa e sicuramente stimolante di quanto ruota attorno al fenomeno del viaggio e non solo.
L’assunto di base è che il più delle volte si parla di viaggio intendendo come binomio pressoché inscindibile il fenomeno turistico e il soggetto protagonista (il turista).
“Invece di osservare il viaggiatore come persona, con i suoi desideri, i suoi valori e i suoi sogni, si privilegia il fenomeno di massa”: così ci si preoccupa maggiormente e spesso in modo maniacale, di tracciare statistiche sull’aspetto commerciale del viaggio e ci si perde tra scelta dei periodi, durata, frequenze, destinazioni, tipologia di soggiorno, mezzi di trasporto utilizzati, vacanze per single, coppie, gruppi o famiglie.
Questo modo tanto diffuso di ragionare e di considerare il turismo (e il turista) è decisamente riduttivo e dal punto di vista psico-sociale poco accettabile.
Si rischia, infatti, di ingabbiare e contenere il turismo all’interno degli stereotipi forniti dalle agenzie di viaggio, dalle guide e da tutti gli operatori del settore, così, per motivi economici e forse contabili, ci si preoccupa di tracciare un profilo del turista-viaggiatore piuttosto lontano dalla sua essenza reale.
Sicuramente “non c’è turismo senza turista”, anche se spesso si attribuiscono a quest’ultimo alcune situazioni tutt’altro che positive che lo rendono per definizione “l’idiota del viaggio”.
Quali sono queste situazioni?
Al turista si attribuiscono i “vizi del turismo”, “i misfatti ambientali (interventi sul territorio e inquinamento), le derive culturali (riduzione dei luoghi in termini di pittoresco e di folclore), gli effetti destrutturanti (urbanizzazione e migrazione) spesso aggravati dallo sviluppo di traffici legati al lucro, lusso e lussuria (sesso, droga, casino…).
A partire da questo il viaggiatore è accusato di una perversione che in realtà non dipende dai suoi sogni e desideri ma dal fatto che essi vengono manipolati ed esacerbati a scopi commerciali”
In secondo luogo si sottostima la complicata e complessa identità del turista, definendolo molto spesso “un essere rozzo, incolto, grossolano, superficiale…”, tanto che spesso non usiamo il termine “da semplice turista” ritenendolo così un “viaggiatore svalutato” al punto che anche i suoi viaggi alla fine lo diventano…
Alla luce di questo profilo, perché viaggiamo?
“Dato che oggi non siamo più né nomadi né migranti, né saltimbanchi o in altro modo itineranti che viaggiano per necessità o tradizione, perché ci ostiniamo, nonostante tutto, a viaggiare ancora?”
Il perché il turista sia così deliziosamente ostinato nel voler continuare a viaggiare raccoglie in sé un significato antropologico dal valore interessante: “la voglia di viaggiare, la voglia di mondo, contiene le nostre preferenze e le nostre inclinazioni. Parla di noi o ci rivela”.
Due sono le analisi che a questo punto andrebbero condotte con attenzione:
– il senso del viaggio e la sua variegata tipologia
– i sogni e le ragioni del viaggiatore
Se andiamo indietro nel tempo c’è stato un periodo della storia in cui si viaggiava perché era una cosa salutare (esempio la ricerca delle cure termali nel XIX secolo il cui scopo era soprattutto igienista) o semplicemente avventurosa (il fascino della scoperta).
Oggi siamo passati dal piacere alla paura.
“Siamo arrivati a viaggiare con la paura di perderla, la salute, prendendo a volte anche eccessive precauzioni per prevenire i rischi di malattie” e “se una volta si partiva all’avventura, con un certo gusto per l’imprevisto, oggi si parte ricoperti di informazioni, di previsioni, di prenotazioni e assicurazioni di ogni tipo”.
L’imprevisto è diventato un problema, una paura, il timore più concreto che un viaggio possa manifestare.
Il viaggiatore “avventuriero contemporaneo” è sempre on line, “collegato al web, prima, durante, dopo… e quindi non viaggia mai davvero lontano perché non è mai staccato, sconnesso”.
Ogni epoca rispecchia la sua generazione, i suoi modelli di comportamento, i desideri e l’immaginario che nello specifico il viaggio rappresenta.
Il turista è un viaggiatore recidivo: “non solo continua a viaggiare, ma in più ricomincia senza fermarsi mai, ripetendo, reiterando l’esperienza del viaggio…”
Questa ripetizione, questa necessità psicofisica di ricominciare, di darsi come prospettiva un nuovo continuo inizio è chiaramente espressa nell’opera di Nicolas Bouvier “Il faudra repartir”, in cui si analizza la “pulsione” che spinge a questo continuo ritorno al viaggio.
Egli distingue 4 possibili “categorie di cause all’origine della ripetizione”:
– l’iniziazione: “il viaggio è considerato dal viaggiatore come un apprendimento perpetuo, reiterarlo non è quindi tanto una ripetizione quanto la ricerca pedagogica di un ideale iscritto nella continuità indefinita di un’esperienza di iniziazione”.
Viaggiare diventa il modo per apprendere, conoscere e imparare, aggiornarsi e stupirsi di continuo.
– la collezione: “alle implicazioni pedagogiche si sostituisce il gioco della serialità, alimentato da un’accumulazione ossessiva che rivela una quantifrenia, una frenesia da quantità”.
Il viaggio diventa un’esperienza maniaco-ostentatoria che trasforma l’esperienza del viaggio-lezione, in viaggio-trofeo e trasforma il soggetto da viaggiatore a “turista ingordo, che lascia impronte dappertutto, ha fatto tutti i paesi e compie dieci volte il giro del mondo” (viaggiatore seriale).
– la dipendenza: “qui il viaggiatore vuole ritrovare il piacere perduto ma mantenuto vivo dal ricordo della prima felice esperienza di viaggio”.
Si tratta dei viaggi riprodotti, che mostrano l’ambito della “ricaduta”, ricostruiti in modo quasi ossessivo, abitudinario che prevede la “ripetizione di tutto, del luogo, dei giorni, dell’itinerario, delle tappe, dei soggiorni, delle attività…”
– la consolazione: anche qui emerge il ritorno alla “ricaduta” in modo leggermente diverso.
Si tratta di programmare un viaggio riparatore rispetto all’esperienza precedente, prendendosi quindi una rivincita su un’eventuale disavventura.
Un viaggio-rimedio “destinato a far dimenticare le delusioni, le ferite” a fronte spesso di disastri ambientali o naufragi, che necessità di un momento di guarigione psicologica e di ripartenza.
L’immaginario del viaggiatore è senza dubbio la spinta necessaria, la motivazione assoluta che determina la sua visione del mondo, di se stesso e dei suoi spostamenti.
Se non ci fosse, si parlerebbe di “vano vagare”, mentre invece “è l’immaginario che fa del mondo un’attrazione e del viaggio una tentazione e un invito senza i quali il desiderio di partire non esisterebbe e, ancor meno, di conseguenza, le ragioni della sua ripetizione”.
Ecco perché è d’obbligo spostare il fulcro di qualunque tipo indagine socio-commerciale sul turista e non solo sul viaggio, “alla ricerca di quest’uomo dimenticato, simbolo della società”.
In questo modo si potranno identificare 4 “polarità sensibili o psicologiche” nella scelta di qualunque pratica turistica:
a. il richiamo del deserto: attrazione per gli spazi immensi, silenziosi, disabitati, caldi o freddi che siano (Sahara o Himalaya, giusto per intenderci), per cui oggi si confezionano offerte specifiche ad opera di agenzie di viaggio specializzate in avventure ed esplorazioni;
b. la tentazione sociale: “voglia di aggregazione e compagnia, di contatto e calore umano”, che si realizza nel turismo urbano, nei grandi appuntamenti sportivi, nelle feste tradizionali e collettive, nella villeggiatura balneare;
c. l’immaginario cenobitico: “il turista può desiderare, durante le vacanze, un gruppo omogeneo e chiuso”, caratterizzato dalla scelta di vacanze in hotel in crociera, in club vacanze… fino alla casa di famiglia usata come luogo di vacanza;
d. il sogno umanitario e altruista: si privilegia in questo caso un tipo di turismo responsabile e solidale verso terre esotiche ed avventurose, sogno realizzato da diverse agenzie del settore.
“Il soggetto con i suoi sogni, le sue ragioni, le sue sragionevolezze anche,i suoi desideri principali… non è soltanto un consumatore di viaggi” ma “è anche un inventore, un interprete, un ermeneuta”.
Sosteneva lo scrittore Andrè Suares, nella sua opera “Le voyage du Condottière”, che “il viaggiatore è ancora ciò che più conta in un viaggio” e “i paesi non sono altro ciò che lui è. Cambiano con le persone che li percorrono”.
I viaggiatori, queste persone, si fanno carico dei loro sogni e delle loro ragioni che diventano il primo vero bagaglio da preparare prima di una partenza, in modo che lo spirito della scoperta (soprattutto di se stessi) non si perda in altre superflue valutazioni.
Buon viaggio!
Articolo di
ValMa (Valeria Copperi)