Ho sempre avuto un debole per mercatini e souk, artigianato pregiato o paccottiglie non importa poi tanto, il gusto di girare per viuzze e lasciarsi quasi stordire dalle voci, dai colori, dagli odori per me c’è sempre.
E naturalmente non vedevo l’ora di visitare una delle mete a detta di molti più ambite per questo: Marrakech.
Non solo per i suoi souk ovviamente!
Ma anche per quell’alone di esotismo e di racconti di jet set lontani che la pervade.
La visita è stata purtroppo breve, ma non ha deluso le aspettative!
Anche se per apprezzare al meglio la città bisogna sintonizzarsi con i suoi ritmi: se sei un amante dell’ordine e delle “distanze”, forse non fa per te (oppure armati di pazienza), perché Marrakech è caos, ma caos calmo, nel senso che poi tutto trova il suo posto, e così accade che nel bel mezzo dell’incrocio affollato che ti stai apprestando ad attraversare, insieme a motorini, auto, carretti e bici che spuntano da ogni direzione, avanzi spesso un gruppo di uomini (quasi rigorosamente in abito tradizionale) intenti a bere il tè alla menta, o diretti al primo cafè.
Il primo impatto con Marrakech è il bianco, quello del suo aeroporto Menara, a poca distanza dalla città (circa 3 km).
Ma Marrakech in realtà è la “rouge”: nonostante molte delle ville a due piani risalenti ai tempi del patronato francese abbiano fatto posto alle imprese dei palazzinari, conserva una certa armonia con la tradizione, soprattutto grazie all’obbligo di mantenere, in tutta la città, l’uniformità del colore rosso (concesse solo tre variazioni di tonalità, quello denominato proprio “Marrakech”, il rosa della Koutubia, il minareto alto 77 metri, contemporaneo alla Giralda di Siviglia e simbolo della città, imprescindibile osservarlo dai giardini che lo circondano), e il rosso Mamounia, cioè quello del palazzo diventato famosissimo hotel di lusso e frequentato dalle celebrities.
Ovviamente l’esperienza più autentica la si vive nella medina (la parte vecchia circondata da 11 km di mura).
Qui ci sono viuzze talmente strette che anche le auto si avventurano con fatica, figuriamoci i piccoli pullman turistici.
E quindi se soggiorni in uno dei caratteristici riad ti capiterà di doverlo raggiungere a piedi dallo slargo più vicino, mentre i tuoi bagagli saranno trasportati da un carretto!
Del resto, i piccoli calessi trainati dagli asini sono una presenza costante nel panorama cittadino.
I souk sono ovviamente una meta obbligata ma anche molto turistica.
Se non hai paura di perderti perché non curiosare (con il dovuto rispetto alla popolazione locale ovviamente) per le vie della medina?
Qui si scopre un trantran quotidiano che dev’essere stato quello del nostro sud di tanto tempo fa (e a volte sopravvive ancora): le giornate si vivono per strada, specie quelle degli uomini in realtà (le donne, fino ad un certo orario della giornata, sembrano rare, salvo poi materializzarsi nel pomeriggio, specie nel souk, a vendere i loro braccialetti e collane di metallo con un’insistenza ben più accanita di quella dei commercianti), con le botteghe senza porta d’ingresso e la gente che lavora sul ciglio di casa.
Ma da non perdere è il quartiere degli artigiani: qui puoi osservare dal vivo la realizzazione di oggetti e suppellettili.
E qui sfilano, suddivisi in zone, i tintori naturali ( e i tessitori di seta naturale che viene ricavata dall’agave), gli artigiani del ferro battuto (che spesso riciclano il materiale da discariche o da oggetti vecchi), e naturalmente i lavoratori del pellame.
Il caso ha voluto che ci capitassimo il giorno d’asta (era un mercoledì, ma non saprei dire che se questo fa fede!) e sembra davvero di passeggiare nel tempo: vedi il battitore delle pelli camminare su e giù lungo il vicolo, e tutto intorno è un pullulare di pelli, distese, appese, arrotolate, e di artigiani che evidentemente ne discutono, spesso e volentieri davanti all’immancabile tè alla menta (a proposito, ovviamente ne troverai da comprare ovunque, ma una volta a casa non ha lo stesso sapore, sarà la suggestione del luogo?).
E non ha forse un suono esotico la parola caravanserraglio?
Questi luoghi di crocevia quasi simbolici li ritrovi a Marrakech.
Di fatto oggi non hanno niente di poetico come probabilmente non ne avevano neanche in passato, ma da qualche anno (pare in realtà dagli anni ’90) molte di queste ex locande, che un tempo servivano da ristoro alle carovane di merci, e cadute poi in disuso con l’avvento dei mezzi motorizzati, ospitano officine e comunità di artigiani.
Se ti capita dai un’occhiata ad uno di questi cortili.
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Se ti piacciono le spezie visita il mercato della Mellah, l’antico quartiere ebraico.
E poi lasciati invitare (di fatto grazie ai solerti “buttadentro” ti ci ritroverai senza quasi accorgertene…) in una farmacia berbera, come Epices Ibno Baytar.
Se chi viaggia con te non si perde una profumeria mentre tu per i cosmetici non nutri alcun interesse, un consiglio: armati di sana pazienza perché difficilmente sarà una visita breve!
Ma ne vale la pena, innanzitutto perché entrando ne saprai un po’ di più sulla lavorazione dell’argan (io per esempio ignoravo che ne esistesse anche l’olio alimentare, oltre a quello cosmetico…).
Una volta salite le scale ti imbatterai in uno stanzone asettico e spartano, ma non lasciarti ingannare!
Guardati intorno: alle pareti è un tripudio di erbe, spezie e quant’altro, ognuno nel suo identico barattolo di vetro.
Se ti piacciono i cosmetici (ma anche le medicine) naturali non uscirai di qui a mani vuote.
Tutto quello che devi fare è sederti sulle panche e lasciare che i “farmacisti” ti facciano sfilare davanti (con un piglio degno dei migliori incontri Avon o simili…) boccette e saponi, erbe e polveri.
Ce n’è per tutti i gusti, e loro sanno come accattivarsi la tua attenzione!
L’olio di argan ovviamente, ma anche il sapone nero (quello dell’hammam), la crema alle rose, i fiori di zafferano, l’ambra marocchina… se siete come me impossibile non cedere alle tentazioni!
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C’è poi anche un tocco di italiano a Marrakech, nel senso che non mancano le iniziative di imprenditori partiti dal nostro Paese.
Tra queste ne ho scoperte due nella medina, il Cafè Arabe (in rue Mouassine, molto rilassante prendere il caffè in terrazza con i tipici e coloratissimi dolcetti di miele e pasta di mandorla!), e l’Hammam de la Rose (in Dar El Bacha).
Manca qualcosa?
Certamente, “lei”, la piazza.
Simbolo di Marrakech, la piazza Jemaa El Fna si odia, perché è diventata ormai un turistificio, con i suoi incantatori di serpenti, i venditori d’acqua, i cantastorie, spesso in realtà in mostra per farsi ritrarre.
O si ama, perché – dicono – cambia faccia con il passare delle ore.
Ed è vero!
Impossibile perdersi il giro serale con la sterminata distesa di baracchini fumanti, ma ti consiglio di farci un giro nel pomeriggio, alla luce del sole.
Qui, da quando viene chiusa al traffico, la piazza lentamente si mette in moto.
Tra le figure più turistiche di cui sopra è tutto un brulicare di carrette, casse di alimenti, scale e gente che monta i baracchini ed allestisce le cucine.
Tutto per diventare quella che sfila davanti a turisti e locali la sera.
E questo è un lungo lavorio che si ripete sempre, ogni santo giorno.
Articolo di
Mariangela Traficante