Ogni paese un viaggio e al suo interno regioni e città che si differenziano ma che conservano un “sentimento” comune. È il famoso genius loci, grande come uno stato. L’Austria è per me un movimento nella quiete, nell’ordine dei dettagli, nell’organizzazione delle cose di ogni giorno. Lo vedi nelle città, come Vienna, nelle vallate del Tirolo e l’ho riscoperto da poco in uno dei suoi stati meno conosciuti, il Vorarlberg. austriainsolita visitvorarlberg
Al confine con la Germania e la Svizzera ci sono delle vallate alpine percorse da strade sinuose che si arrampicano quasi arrotolandosi su se stesse, da una pianura piccola e raccolta ai bordi del lago di Costanza. Il Vorarlberg si nutre di nuvole alpine e di acqua dolce di uno specchio d’acqua diviso e unito allo stesso tempo tra tre paesi.
Questa regione dell’Austria che fatico un po’ a pronunciare mi porta via subito dalle sponde del lago per farmi toccare le cime ancora innevate di Lech am Arlberg, ai confini col Tirolo, un borgo ricco e ancora sonnecchiante prima della stagione estiva, dove l’aria è fresca e sa di fieno. Le vie del paese si fanno presto sterrate, le case di legno che raccontano dell’amore per l’architettura moderna ma rispettosa del Vorarlberg, diventano pascoli di mucche libere e boschi di conifere, come un’entrata trionfale ma discreta ad un lago che assume le tonalità di blu che offre il cielo mutevole delle altitudini.
Il lago Formarin è raggiungibile attraverso percorsi a piedi e in bicicletta, o grazie ad un comodo bus panoramico. Le sue sponde sono attorniate da un sentiero gentile che non toglie fiato alla contemplazione delle acqua turchesi o delle cime rossastre della Rote Wand.
La natura è la guida di eccezione che mi porta in giro nel Vorarlberg, che dal lago Formarin mi accompagna verso il Parco della Biosfera del Grosse Walsertal, a poca distanza da lì. Qui appare l’Austria che ho in mente quando chiudo gli occhi in città, prati falciati o curati dalle mandrie al pascolo, piccoli paesi che si perdono fino a svanire nelle valli, mentre dall’alto osservo nuvole e sole colorare l’estate appena iniziata tra le Alpi.
Nei borghi di Faschina (vedi foto all’inizio) o di Fontanella pare di essere in qualche avamposto dell’essere umano lontano dal mondo, dove i rumori della sera sono lo scampanellio delle vacche e una brezza quasi fredda che porta via l’afa delle pianure a cui siamo abituati e anche pensieri che qui non trovano appiglio.
Sarebbe da non scendere più a valle, da fermarsi qui a fare il formaggio o raccogliere piante spontanee, perdere peso e pesi nei sentieri, nel benessere mentale che sa di mirtilli e rose selvatiche.
Il lago è una buona meta per non perdere i benefici di due notti passate tra i monti. Dolce quiete che circonda da un lato la discreta cittadina di Bregenz, capitale del Vorarlberg, con poco più di 30.000 abitanti, numeri che raccontano le dimensioni di questa Austria insolita, poco conosciuta in Italia.
Qui non devi fare nulla, se non attraversare le poche strade e passeggiare nel lungolago, seguendo la lentezza che ti suggeriscono le acque, incuriosito magari da un’installazione di qualche artista contemporaneo.
Ogni anno, a luglio ed agosto, al tramonto, si accendono le luci e si alzano le voci sonore dell’opera, il cui palcoscenico è il lago di Costanza, trasformato in un teatro per il Festival di Bregenz.
La creatività, il gusto per l’arte, è un tratto comune in Austria ed anche Bregenz si fa custode di avanguardie e provocazioni. La Casa della Cultura è contenitore e contenuto, percorso da fare magari accompagnati, per cogliere la ricchezza geniale dei dettagli di quello che ospita ma soprattutto di com’è stata costruita.
Un mercato contadino con formaggi d’alpeggio e pane scuro di segale mi accoglie fuori dal museo, mentre intravvedo il lago prima di tornare in Italia. Un piccolo assaggio di Alpi e laghi, di architetture e tanta quiete che voglio portarmi dentro, stellina da aggiungere alla mappa dei miei percorsi che voglio offrire a chi cerca sentieri più lenti, rigeneranti, a nord, appena al di là del confine.
Articolo di
Luca Vivan