Il mare d’inverno è una destinazione che sa di sale bagnato e un po’ di malinconia, è il suono delle onde senza quello chiassoso della gente che vi si tuffa dentro, è un orizzonte velato e magari incerto, che ti fa aguzzare la vista per cercare dettagli che si allontanano e forse non sono mai esistiti. followgrado natalegradese tbnet
Di questo mare ho già parlato ma a Grado c’è qualcosa di più, che ogni volta che ritorno affiora inaspettato.
Superata la strada panoramica che entra in laguna, la terraferma alle mie spalle si riduce ad un ricordo e a qualche macchina che va e che viene, il resto è acqua che corre attorno alle case e alle vie, ricordandoci che qua siamo su un’isola e che Venezia è appena a qualche miglio più a sud.
“Cosa vai a fare d’inverno al mare?”
Una voce della mente, legata al caldo dell’estate, non si rassegna all’idea che si vive anche quando fa freddo e che ogni stagione ha la sua luce e i suoi colori. A me basta passeggiare sulla diga Nazario Sauro e lasciarmi circondare dalla nebbia, osservare il mare grigio e il cielo che perdono i loro confini. Rimane quasi un alone di mistero su quello che ci sarà laggiù in fondo. Non cerco nulla, mi accontento del silenzio e delle onde, che nella foschia sembrano ovattate, quasi a non voler disturbare questo incanto invernale, questo mondo sospeso.
L’umido e il freddo sono però dispettosi e mi costringono a cercare dei rifugi, facendomi perdere tra le calli del centro storico fino a che non varco la porta della basilica di Sant’Eufemia, attratto dagli echi di un cristianesimo antico o da un presepe moderno.
Ho voglia però di spazi aperti, sono troppi i giorni passati chiusi in casa con gli occhi chini su uno schermo, ho bisogno di lasciar vagare lo sguardo, così mi allontano nelle vie quasi deserte fino ad un molo dove mi attende una barca, una via di fuga verso la laguna, uno spettacolo velato di nebbia che voglio scoprire.
Il caligo, la foschia che circonda Grado da tutti i lati, invece di essere un freno diventa un’occasione per incontrare un mondo a sé, oggi ancora più evanescente e misterioso. Ogni cosa scompare presto. Dietro sipari di fumo, affiorano relitti e vaghi segnali, pali di legno che indicano una strada d’acqua che si allontana sempre più dalla città. Se non ci fosse il rumore del motore, sono certo che il silenzio sarebbe così pesante da cadere a fondo in queste acque salmastre. I miei occhi afferrano contorni di isole e strisce di terra, le barene, le ali scure di un uccello o il guizzo di un pesce, un gioco di equilibri naturali che ispira un senso di armonia.
Per un attimo tocco il suolo che però, come tutto qui, è incerto. Attracco su un’isola grande come un piccolo giardino, dove crescono alberi che sostengono reti da pesca, dove giocano dei gatti, unici custodi di questo avamposto dell’umanità. Una casetta dal tetto spiovente è qui ad aspettare i propri padroni o forse dei turisti, che da qualche anno possono alloggiare nell’albergo diffuso della laguna di Grado.
Una carezza ad un piccolo gatto nero, il tentativo di sbirciare oltre la nebbia e risalgo a bordo, mi attende di nuovo il mondo di là e il ritorno in terraferma. L’isola-giardino viene ricoperta subito da tende fatte di foschia, lasciandomi però con la promessa di poter ritornare a farle visita, quando si sveglierà con il tepore della primavera.
I miei ringraziamenti vanno al Consorzio Grado Turismo per questa nuova possibilità di visitare Grado e alla piccola magia delle giornate d’inverno che racchiudono un senso più intimo per visitare luoghi preziosi come questa laguna del Friuli.
Articolo di
Luca Vivan