Lascio il nord, “L’Hanoi e dintorni” scriverebbe qualcuno, alla volta del centro del Vietnam, così stretto e lungo geograficamente parlando, con destinazione Hué.
Scelgo il treno, quello notturno, per tre motivi:
– mi permette di godermi l’ultimo giorno ad Hanoi fino a sera, partenza prevista ore 20, e si sa, le stazioni sono sempre vicine al centro;
– per una questione di costi, ma nemmeno troppo in questo caso;
– perché è un’esperienza diversa, un viaggio umano e personale, una prova con se stessi. La cabina è con 4 cuccette, occuparla interamente dona tranquillità e spirito di gita ma diminuisce i contatti con i locali, il bagno ha una zona aperta con 3 lavandini e il bagno. Quest’ultimo passa la prova immaginazione: un salotto, anche per dimensioni, confrontato con quello cinese e indiano.
Ora, io mi adatto, tengo sempre i nervi saldi e la butto sempre sul ridere. Tranne che per le blatte (sto avendo un brivido), quelle sono il mio tallone di Achille, non riesco nemmeno a s… capito? Non ce la faccio a scriverlo (brivido). Bene, erano 3. Loro. Noi in 4. Quasi una a testa! No, 2 erano dalla mia parte, una sotto il mio materasso.
Non ho urlato, pianto o mugugnato e non ho dormito in corridoio. Non avevo spray adatti, ma un’antizanzara potente era nel mio zaino. L’ho spruzzato negli angoli, in terra, sotto il materasso, sui miei vestiti. Qualcuno si è lamentato, nel corridoio, il tipico odore chimico era uscito dalla cuccetta, ma grazie a Dio i vietnamiti sono gentili e nessuno ha protestato formalmente. Ho rifatto il mio letto con le lenzuola e la coperta fornitoci. Mi sono distesa, coperta, ho letto, e dopo tanti respiri profondi aiutati dalla mano sulla pancia, ho dormito. Sono fiera di me.
All’arrivo immediata colazione con noodles ed escursione nella zona conosciuta come DMZ, o 17° parallelo nord, la zona smilitarizzata. In pratica, nel periodo della guerra con la Francia, la conferenza di Ginevra decise che il Vietnam fosse diviso in Nord (comunista con Ho Chi Minh) e Sud (anti-comunisti e filo americani) e all’altezza del fiume Ben Hai una fascia di terra di nessuno, per eventuali incontri politici.
Fu costruita anche una rete acustica per avvertire possibili passaggi, chiamata McNamara (ministro della difesa USA) ma fu presto abbandonata, suonava in continuazione, al passaggio di animali. La stessa zona è stata invece, durante la guerra con gli USA, la più colpita da bombe, nonostante questo costò il più alto tasso di vittime americane.
L’escursione di per sé non ha niente di bello, si attraversa a piedi il ponte ricostruito Hien Luong, posto sulla statale 1, l’arteria più importante del paese, conosciuto anche come il ponte della sofferenza: la donna posta sulla porta sud sa che non vedrà più tornare il marito partito. Dall’altro lato della strada il monumento alla guerra. Volendo, a una decina di chilometri c’è l’enorme cimitero di Truong Son dove sono raggruppati per provincia i soldati già seppelliti velocemente nella zona.
I tunnel di Vinh Moc sono invece un’esperienza tangibile e diversa da quelli presenti a Cu Chi; qui furono soprattutto i civili che scavarono e abitarono questi cunicoli, sono meno umidi e più alti quindi meno claustrofobici rispetto a quelli nei dintorni di Saigon, in più, essendo un luogo meno turistico, è senz’altro più rispettato. Scavati in 13 mesi e disposti su 3 altezze (10, 15 e 20 m sottoterra) e così lunghi, 3 km, da raggiungere la costa.
Il primo livello era per le persone, il secondo per le provviste e il terzo in caso di distruzione del primo livello. C’era la scuola, nacquero dei bambini, ma la vita era difficilissima. 250 persone circa vi abitarono per 6 anni, ogni famiglia aveva una nicchia grande come un letto singolo. Si poteva uscire solo di notte in cerca di provviste e per respirare meglio. Molti ebbero problemi di salute durante e dopo la guerra specie per la mancanza di vitamina D (occorre il sole), problemi alle vie respiratorie e agli occhi vivendo sempre praticamente al buio; l’apertura era mimetizzata dalla vegetazione, non furono mai intercettati.
All’esterno fu scavata persino una trincea lunga 8 chilometri. Molto interessante è il piccolo museo ricco di fotografie e spiegazioni veloci sulla costruzione e la vita nei cunicoli. Tutto ciò che racconta la guerra regala turbamento, empatia, qui, camminando per qualche minuto nei cunicoli e sapendo di poter uscire, questo popolo ti getta addosso la sua forza di volontà, così capace di adattarsi, di trasformarsi, di costruirsi un inferno per sfuggire ad un altro.
Si conta che furono sganciate pari a 70 tonnellate di bombe a persona, anche in Laos ci furono bombardamenti per errore. I vietnamiti morirono molto anche dopo la guerra per le bombe inesplose e per i danni causati da questa; il napalm e gli erbicidi furono così tanti che la terra divenne sterile. Da poco si ricoltiva il caffè che beviamo anche noi.
Mentre mi faccio finalmente la doccia sotto uno scroscio fantastico e mi asciugo con degli asciugamani candidi mi par di poter leggere dappertutto sulle piastrelle del bagno: “Un battito d’ali di una farfalla può provocare un uragano dall’altra parte del mondo”. Riprendo lo zaino, vado in giro per Huè.
Articolo di
Silvia Balcarini