Ci sono luoghi che potrebbero non parlare di sé, che potrebbero vivere per sempre di una loro luce riflessa. Uno tra tanti: la laguna di Venezia, luogo sospeso tra mare e terra, centro di sviluppo di una delle più grandi potenze economiche e culturali europee del passato.
La storia dell’essere umano ha voluto invece che moltissime delle storie che accompagnano questo territorio di acqua né dolce né salata, né ancora Adriatico né ancora Veneto, si insabbiassero tra le sue terre sommerse che cambiano al mutare della luna.
La gloria del mondo passa, così si usa dire, le isole scompaiono nella nebbia del tempo, Venezia capoluogo, sembra sempre più minacciata di svanire del tutto, sotto il peso di un secolare declino e anche di una presenza turistica sempre meno sostenibile.
Tutto qui, in questa laguna, però ci ricorda che i cicli della vita parlano di morte certo ma anche di rinascita. Si tratta di immaginare delle nuove traiettorie, di tracciare nuove rotte e pare che qualcuno ci stia scommettendo davvero.
Abito a pochi km da questo regno sempre cangiante, ho studiato qui tra le sue isole ed è sempre un piacere riviverle, ogni volta scoprendo dettagli nuovi e insospettabili. Ho colto perciò di buon grado l’invito a venire a trascorrere qui un tramonto, con il progetto pilota “Lagoon Sunsets”.
In compagnia di giornalisti, operatori del turismo e autorità siamo partiti simbolicamente dal Piave (anzi, “la Piave”, perché il fiume era “donna” un tempo), per secoli vera e propria autostrada del Veneto, che collegava le Dolomiti con Venezia.
Il progetto Lagoon Sunsets vuole essere infatti una specie di prolungamento de “I suoni delle Dolomiti”, la possibilità di portare la musica dai monti del Trentino in questa regione salmastra, poco considerata, spesso abbandonata, un ecosistema però prezioso, patrimonio Unesco dell’Umanità dal 1987.
Dal sottile confine tra la campagna e la laguna, a Lio Maggiore, ultimo tratto di terra di Jesolo, siamo poi partiti in barca per navigare verso il tramonto, tra le barene, sottili affioramenti di terra, tesori naturalistici di uccelli e piante coriacee, tra le bricole, segnali di legno che indicano la via in un mondo altrimenti incerto, in cui anche il navigatore esperto può perdersi ed incagliarsi.
Abbiamo costeggiato le cosiddette “isole minori”, come quella di Salina, intravisto il campanile romanico di Torcello, un tempo fiorente cittadina, poi spopolatasi in favore di Venezia e ancora più recentemente a discapito di una modernità, che qui, anche da una barca a motore, appare distante e quasi impossibile.
Abbiamo infine attraccato sulla piccola Mazzorbo, tra antichi vigneti autoctoni e un tramonto di contrasti, grazie alle nuvole e le luci di un temporale di passaggio.
In questa isola poco vissuta abbiamo atteso pazientemente il concerto di uno dei più famosi jazzisti italiani, Enrico Rava, che accompagnato da Francesco Diodati ha riempito la sera lagunare di echi e suggestioni, di note quasi psichedeliche che abbracciavano la notte.
Il 5 settembre è stato solo un assaggio di un festival che si sta già preparando per la prossima primavera. Mi auguro di poterlo raccontare, di solcare le onde dei suoi suoni in un ambiente che possa essere valorizzato, nel rispetto del suo fragile equilibrio.
Articolo di
Luca Vivan