Mi prenderai per matto ma sono convinto che la tanto disprezzata provincia, i piccoli paesini, le valli lontane dalle strade principali, abbiano grandi potenzialità. La qualità della vita sta diventando sempre più una questione di aria buona, di natura in cui immergersi, di luoghi di silenzio dove rigenerare corpo e mente, sottoposti a troppe pressioni in questi tempi di forte cambiamento.
C’è bisogno di quiete, di svuotare i pensieri e le troppe parole, di starsene tranquilli a fissare gli alberi o un prato. La Val Cosa, un tempo frutteto del Friuli, può allora trasformarsi in un luogo ideale per il benessere, può rifiorire, attraendo le persone che non chiedono grandi cose materiali ma che apprezzano sinceramente quello che la natura offre loro.
E qui, dietro l’angolo di casa, celati agli occhi spesso ciechi dei suoi abitanti, la natura si regala in frammenti preziosi: scorci di fiume che appaiono improvvisi, case di pietra e sassi dietro una curva o grandi prati, ricordi di un vicino passato contadino, mentre il tesoro più grande si nasconde sotto gli occhi di tutti, nella terra.
In Val Cosa esistono tra i più importanti canyon e forre del Friuli, capaci di attrarre speleologi e appassionati da tutto il mondo. Sono strettoie di roccia nuda e acqua limpida che purtroppo chi abita vicino non conosce quasi per nulla.
Come spesso capita, il loro valore è stato riconosciuto e diffuso da una persona nata altrove, Alessandro, una guida speleologica che prima di accompagnare gruppi di curiosi ha esplorato la zona in lungo e in largo, addentrandosi in grotte e canyon, già visitati nella preistoria, dall’uomo di Neanderthal.
Si accede a un altro mondo quando si scende da una piccola strada di paese e nel bosco si intravvedono le acque fresche del torrente Cosa, che in migliaia di anni ha scavato dei luoghi difficili da descrivere. Qui si entra in un territorio antico come le vicine montagne, uno spazio quasi sacro, dove puoi immergerti per contemplare il silenzio dell’acqua che scava incessante la sua strada, dove la luce entra timida, disegnando ombre e riflessi, in cui puoi fare a meno del tempo che regna di sopra. Qui rimangono i tuoi passi incerti che ogni tanto affondano in qualche pozza, rimane la meraviglia di un ambiente così raro.
Emergere dal canyon richiede uno sforzo, non fisico ma mentale, perché significa risalire nel mondo di sopra ma ne vale la pena se qualcuno ti sta accompagna verso altri piccoli tesori di questa valle.
Poco distante dal canyon ecco una casa di sassi e legno, tipiche della zona ma completamente ristrutturata, con un gusto e un senso delle forme che ti fa pensare di essere in qualche terra del Nord. Un tocco di design che regna su un prato, una struttura dell’albergo diffuso della Val Cosa, uno spazio dove passerei diversi giorni per scrivere un libro o semplicemente per dedicarmi a un sano ozio ricreativo. Il tempo di un aperitivo con sciroppo di sambuco locale, dolcetti di fragole degli orti qui vicini e i miei ospiti mi prendono e mi portano di nuovo via, verso la casa di un’artista.
La casa di Pablo Augusto Garelli, scultore della pietra e del legno, di origine argentina è una vecchia abitazione con affianco una stalla, ora diventata il suo studio. Qui curioso tra le sue opere e i suoi strumenti di lavoro mentre l’ascolto parlarmi della sua scelta di vivere in Val Cosa. Qui ha il suo silenzio, la pace di un luogo poco costoso, la materia viva che plasma, il legno e la pietra che trova durante le sue camminate nei boschi. Ed è tutto a pochi km dalla pianura e dalle città vicine. Le sue riflessioni mi fanno capire che la provincia non è più il territorio della noia, della fissità mentale, della chiusura ma può trasformarsi in nicchie creative, in piccolo giardini che crescono arricchendosi grazie alla tranquillità dei suoi spazi, grazie ai boschi vicini e a persone che scelgono di stare qui, portando i loro talenti.
Riflessioni del tramonto, mentre le linee dei colli che nascondono la Val Cosa dal mondo diventano più marcate e una luna quasi piena si alza tra i boschi, laddove un tempo c’erano frutteti e orti.
Lasciando la casa di Pablo arriviamo al paese di Vigna, il cui nome è qui a suggerire la prossima tappa, la cena con vini coltivati nella valle. Il loro custode è già seduto al tavola, con davanti una bottiglia di quelle imponenti, un magnum di Cabernet che se ne sta fresco sotto le foglie di vite. Il vino era una volta un cibo, per le popolazioni povere di qui, ma ancora più anticamente, era una bevanda sacra che serviva per celebrare.
Noi, nel nostro piccolo, festeggiamo la fine di una giornata e forse l’inizio di un progetto per dare voce e corpo a questa valle. Prima dei tweet servono le persone e il dialogo tra di loro, perché come forse avrai intuito qui c’è già tutto, basta solo unire i puntini, riallacciare vecchie e antiche storie, con il permesso, ovviamente, della padrona di casa, la natura.
Tintinnano i calici, fluiscono i racconti, resi più morbidi grazie agli ottimi vini di Alessandro Vicentini Orgnani. Tutto il resto tace, tra il fresco vento che s’infila nelle vigne e nel vicino orto. Uno spaccato di Friuli.
Qui finisce il viaggio e il racconto. Questo non è stato né un blogtour né una vacanza anche se ho cercato di condividere le mie impressioni sui social grazie all’hashtag #ValCosa, anche se mi sono sentito coccolato come un ospite da persone disponibili e amanti del loro territorio come Gregorio, Francesca, Krishna, Cristina, Alessandro e tutti gli altri che ho incontrato tra prati, canyon e vigne.
È stato un viaggio, in un luogo che merita una parte nel racconto delle bellezze che ci sono in questo paese.
Articolo di
Luca Vivan