Mi permetto sempre di dire: fammi vedere il tuo bagaglio e ti dirò se sei o meno un viaggiatore.
Indumenti arrotolati, saponi solidi, stratagemmi e il conteggio delle mutande. Chi più chi meno conosciamo tutti le formule per comporre al meglio il bagaglio sia esso rigido, zaino, a mano.
Certo, perché la formula prevede che a ogni viaggio che aggiungi alla tua collezione, c’è un indumento che togli dalla tua lista; un viaggiatore è un po’ come chi segue le discipline orientali, cerca, con prove faticose, di guadagnarsi la fascia successiva, quella che ha un colore diverso, abbandonando l’altra. Senza dubbio aiuta l’equipaggiamento sempre più tecnico e i vari capi 3 in 1.
Il viaggiatore in partenza si scrolla di dosso non solo le pesanti vesta ma anche i pesi reali tornando ai soli bisogni primari, va da sé che la sua borsa lo rispecchi e che si evolva con lui.
Alleggerirsi è una metafora intrinseca del viaggio. In viaggio ci si deve sentire leggeri se pur si stia attraversando un deserto, salendo una montagna, sfidando la sorte.
Alleggerirsi le spalle significa alleggerire la mente, dare spazio a essa, concedersi la sensazione di essere più liberi lasciando per un momento obblighi e convenzioni che stanno anche nel colore e nel numero dei calzini e dei pantaloni.
E poi diciamoci la verità, spesso diventa un gioco, alla meno, stavolta tolgo questo, al prossimo tolgo anche quest’altro, così si crea più spazio per acquisti, per hard disk, per la nuova borraccia. Ovvio che la canottiera può andarsene… cioè rimanersene a casa.
Allora tutto a posto, tutti promossi? No, io no.
Confesso a tutti di avere qualche scheletro nell’armadio o più appropriatamente in questo caso, in valigia. Insomma come nella pubblicità “Toglietemi tutto ma non il mio…”
Caffè, sì maledetto caffè italiano di cui sono lo stereotipo vivente. Posso assaggiare tutto, bevande e tisane con le più strane misture ma solo dopo essermi svegliata, veramente, con una sana, salutare, inebriante tazzina di caffè.
Dicendolo con classe moderna, sono tre i packaging che inserisco obbligatoriamente. Nel primo c’è una moka 3 tazze elettrica con al suo interno una spugnetta, insieme a una multi presa. Nell’altro, un canovaccio che avvolge le tazzine di plastica da campeggio, un cucchiaino per lo zucchero, uno per il caffè e scendendo nel super tubo di latta ermetico, ecco il sacchetto di plastica con dentro la miscela. L’ultimo è quello contenente le bustine di zucchero. Fino a qualche anno fa portavo il sacco con lo zucchero, meno costoso e più ecosostenibile. Poi in Perù me lo hanno scoperto le formiche. Non oso descriverlo, mai viste tante, erano dappertutto e le ho trovate sparse in valigia anche 4 giorni dopo il fattaccio.
Il phon. No, non sono per niente attenta al mio appeal quando viaggio specie ai miei capelli che assumono vita propria, andando in giro a spaventare la gente del luogo, forse sono loro i miei custodi, chissà. Il motivo è semplice e aggiungerei vergognoso, il mal di collo. Non domandarmi altro che già mi intristisco da sola!
Gli amuleti: tanti, diversi, li porto tutti. Con il passare del tempo tutto per me diventa amuleto: lo zaino, quella maglia, il cappello. Poi ci sono quelli trovati in terra qua e là: bottoni, centesimi. Li metto nel portafoglio. Non lascio a casa nemmeno quelli che mi hanno donato oppure che ho barattato con altro. Ho un piccolo animaletto in sasso e un braccialettino rotto. Sempre nel portafoglio. La lista infinita continua con il foulard, la penna che non scrive più, il marsupio che non ho mai usato! I miei amuleti sono il mio tallone di Achille, oramai più che collaudati funzionano sempre benissimo quindi perché dovrei farne a meno! Perché alla fine la priorità di un bagaglio è quella di essere preparato per ogni evenienza: trovamela una più importante dell’incolumità personale!
Sì confesso, il mio vero scheletro nella valigia sono gli amuleti, senza di essi il bagaglio è incompleto! Gli amuleti sono necessari, ti proteggono dai più pericolosi dei pericoli… Dai… come si chiamano? Dagli aerei!
Articolo di
Silvia Balcarini