Il mare d’inverno è un cielo grigio, di colpo illuminato dal sole chiaro e pulito dal freddo; è pochi passanti che camminano veloci tra palazzi vuoti laddove mesi prima c’erano risate e ressa; è una spiaggia luminosa e spazzata dal vento, senza ombrelloni e sedie, solo mare, fino all’orizzonte.
Il mare d’inverno è malinconico, come una barca di pescatori che torna al porto nel freddo del mattino, eppure è uno spazio di vuoto e concentrazione dove andare a prendere il vento dell’est che spazza via le nuvole e i pensieri.
Grado ti accoglie dopo un lungo ponte sulla laguna, mentre il grigio della notte di neve appena trascorsa e il sole che illumina le prealpi friulane in lontananza regalano contrasti vividi tra le isolette e l’acqua salmastra. Mi fermerei a lungo qui al bordo della strada a osservare la laguna che riposa, su questa striscia di asfalto che collega il mondo di qua, quello di terra e città, con quello di là, fatto d’acqua, con questa isola, come avamposto prima dell’Adriatico.
Il protagonista è la Bora, il vento del Nord e dell’Est che soffia in inverno battendo le coste della Dalmazia e infuriando soprattutto a Trieste, strisce di costa e montagne che scorgo nitide dalla spiaggia mentre rubo veloce qualche scatto.
Grado è toccata da questo est, dai soffi del suo vento ma anche dalle maree della storia.
Come parte dell’Impero Asburgico, dopo il crollo di Venezia, divenne una località turistica per i vecchi e nuovi ricchi dell’Europa centrale e orientale che cercavano gli influssi dolci e solari del Mediterraneo. Forse le cose sono poco cambiate dalla fine dell’800 perché ancora ora Grado si presenta come spiaggia tranquilla, quasi riservata rispetto alla vicina Lignano o alla poco distante Jesolo, conservandosi come meta di Austriaci, Cechi e Polacchi.
Ora però c’è il silenzio dell’inverno, senza turisti, se non i pochi che approfittano delle terme e del clima delle feste natalizie; c’è la Bora che costringe a ripararsi, magari in un buon ristorante di pesce. Di solito non parlo dei luoghi dove mangio perché non ho le competenze dell’esperto ma un consiglio lo do, quello di andare nel locale creato dalla Cooperativa di pescatori di Grado, un’osteria di mare, come la chiamano, dove viene servito il pescato della laguna, in modi che fanno apprezzare il pesce anche a chi come me, non ne è cultore.
Due passi li voglio comunque fare e allora con le mani in tasca e la fretta che ti mette addosso il freddo vago per il centro, la Città Vecchia, con le sue calli e i suoi palazzi che ricordano Venezia e in fondo tutti i borghi del Mediterraneo, dal Nord a Sud, dall’Est all’Ovest.
Nella quiete di queste piccole calli, ogni tanto illuminate da qualche presepe, mi dimentico dei palazzi di cemento e di essere in un luogo turistico, getto occhiate agli scorci che disegnano queste vecchie case di pescatori e poi mi infilo nella Basilica di Sant’Eufemia per respirare un po’ l’aria di un lontano Medioevo e di un cristianesimo quasi primitivo, i tempi dei fasti della vicina Aquileia e dei commerci che qui portavano Ebrei, Arabi e Bizantini.
Voglio lasciare però tutto in sospeso ora, per ritornare con il mite tepore della primavera, per godere dell’ambiente lagunare che si sveglia e si colora, con i primi caldi sulla lunga spiaggia che guarda verso il Carso ed il primo Oriente.
Articolo di
Luca Vivan