Il viaggio è un attitudine, non ha a che fare solo con paesi diversi, lingue e culture estranee.
Per me basta chiudere uno zaino e la porta di casa, sfiorare con la macchina paesini che ricordo solo di nome e poi sorpassare quel confine labile che separa la routine dall’esplorazione.
Sono bastati pochi km per uscire dal mondo conosciuto e quasi perdersi per poi seguire una strada che saliva verso un passo di montagna. 18 tornanti e poi delle gallerie scavate dagli Austriaci durante la Prima Guerra mondiale, passo S. Boldo è una via d’accesso, defilata, forse scomoda ma sicuramente intrigante, alla provincia di Belluno. Dagli stretti tunnel verso la luce, tra prati e paesaggi di mezza montagna, tra piccoli paesi, Triches o Limana, e poi una strada costeggiata di faggi e ombre del bosco, di campi aperti e rare abitazioni.
Arriviamo, io e la mia ragazza, nel silenzio di un piccolo borgo, una strada costeggiata da alcune case e una piazzetta, mentre intorno colline e montagne, il cielo di nubi, di grigi e bianchi veloci, come ad essere nel Nord dell’Europa, in Olanda magari.
Valmorel, nella sua quiete, nel suo scostarsi dalla civiltà dà subito l’impressione che qui potresti trascorrere un po’ di tempo, come faceva lo scrittore Dino Buzzati, a meditare e scrivere. Le valli di montagna sono però luoghi d’abbandono, il loro essere isolate non è solo una fortuna per il viandante cittadino, saturo di suoni caotici e forme sgraziate, è anche sinonimo di condanna all’oblio. La città che io sfuggo, per camminare nel silenzio dei sentieri, per respirare aria pura agitata solo dal suono delle foglie di centinaia di alberi, è anche la sirena di questo nostro mondo, che da decenni attira giovani e non che scappano la vita agricola non più redditizia.
In Brasile o nella Valbelluna, dove mi trovo, è un fenomeno senza confini.
Una bella struttura, appena ristrutturata, che scopro anche disporre di w-fi tramite satellite, rivela che qui le cose stanno diversamente.
La latteria sociale “Al Vejò” è anche un centro “Natura e Cultura”, dove un’attiva associazione di volontari tiene laboratori, seminari e conferenze, tra cui quella a cui partecipo io come relatore.
Nel piano di sotto si prepara un formaggio a base di latte crudo, non pastorizzato quindi, che conserva non solo le proprietà del latte ma anche i sapori e le sfumature delle erbe che colorano e aiutano a rendere più armoniosi i prati vicini.
Il viaggio è fatto di impressioni, ci vorrebbero anni a conoscere bene assonanze e dissonanze di un luogo, ma è soprattutto un piatto saporito condito da tante buone chiacchiere.
Parlando con i miei ospiti scopro che qui non tutti sono sfuggiti anzi, alcuni sono tornati, non più contadini appesantiti dal giogo dei buoi e dai prezzi imposti dal mercato ma agricoltori di prelibatezze e particolarità, con metodi biologici, come il formaggio dell’azienda La Schirata, di capre che si nutrono di fiori ed erbe della zona, mantenendo così puliti i pascoli, e che sono curate con l’omeopatia, quasi meglio di quanto ci trattiamo noi umani direi.
Oltre al formaggio di capra, che per me tra i cibi assume al rango di divinità, specie se fatto in questo mondo, qui si trovano erbe medicinali per fare tisane e condire degustazioni durante particolari eventi, e ovviamente tanti ortaggi, come i famosi fagioli della zona di Belluno, il Gialét e il Lamon.
La montagna è luogo dai sapori forti, forse perché qui le verdure che sfidano i rigidi inverni, come le loro cugine selvatiche, le piante medicinali, hanno ancora il sapore di ciò che deve essere ma è anche spazio di salite e discese, che sfidano la pigrizia e portano benessere una volta percorse.
Grazie a Paolo, guida di mezza montagna, abbiamo fatto qualche km in un sentiero che dal centro di Valmorel taglia i boschi vicini, tra statue che parlano di musica e creature non umane, il cui compito pare sia quello di burlarsi dei viandanti e di proteggere la natura.
Camminare è un gesto antico e nonostante le invenzioni dei motori, milioni di persone in tutto il mondo abbandonano l’auto e si incamminano lungo boschi e sentieri, e a ben vedere uno potrebbe chiedersi perché. Il senso lo capisci solo facendone l’esperienza, passo dopo passo, respirando l’aria che sa di resina di abete, ascoltando le foglie dei faggi accarezzate dal vento e aprendo gli occhi su fugaci raggi di sole che tessono trame di incanto tra i compagni silenziosi, gli alberi.
Questa esperienza assume più significato se in compagnia di una guida, che non è solo qualcuno che non ti fa perdere ma è anche colui che ti porta a trovare nuove strade ed informazioni che altrimenti avresti smarrito.
Ed è già tempo di partire, di attraversare i prati solcati da nuvole che minacciano pioggia, nello sfondo le Dolomiti. Vien voglia però di tornare, di fermarsi magari ai Boschi del Castagno, b&b di una coppia che ha scelto la Valmorel come nuovo spazio di vita.
Restare qualche giorno in questa valle, timidamente nascosta seppur accessibile, camminare senza troppa voglia di giungere ad una meta, sdraiarsi in un prato, farsi un panino del suo buon formaggio e poi meditare e scrivere, come faceva Buzzati.
Articolo di
Luca Vivan