C’è un gioiellino nascosto alle spalle della Stazione Centrale di Milano e piacerà agli appassionati di cinema.
Si chiama Fermo Immagine, Museo del Manifesto Cinematografico e forse non è così conosciuto, dai milanesi e non, come invece la via che lo ospita.
“Là dove c’era l’erba ora c’è una città…”
Vi dice niente questo verso?
E’ proprio lei, la canzone del ragazzo della via Gluck, ed è proprio in fondo alla via Gluck tanto cara ad Adriano Celentano che si trova questo spazio dedicato al cinema da un punto di vista molto particolare, quello delle sue locandine.
Come il Molleggiato cantava, via Gluck è ormai una strada di palazzine, vecchie e nuove, ma un tempo ospitava anche stabili industriali, ed è appunto in uno di questi, ristrutturato, che è nato il museo di cui parlo oggi.
Fermo Immagine – Museo del Manifesto Cinematografico di Milano è un museo privato gestito dall’Associazione Atelier Gluck Arte.
Si comincia a sognare l’atmosfera del grande cinema già quando ci si arriva davanti, con un grande disegno murale dedicato alla splendida Audrey Hepburn nei panni di Holly Golightly di Colazione da Tiffany.
Poi, entrando, oltre il piccolo atrio, trovi due sale, e, visto che era impossibile non rendere omaggio a chi quella strada l’aveva calpestata decenni fa, un piccolo punto ristoro battezzato “Il caffè degli ignoranti” (dall’album di Celentano Il re degli ingnoranti).
L’archivio del museo conta oltre 50.000 pezzi, tra fotobuste, manifesti, locandine, soggettoni, foto di scena e affiches pubblicitarie.
Una parte ovviamente piccola di questi tesori è in mostra permanente, la troverai nella sala Hollywood che è un bel colpo d’occhio per gli appassionati del genere, una sala dalle pareti altissime tappezzate da manifesti.
Un panorama decisamente eterogeneo, da Federico Fellini a Alfred Hitchcock, da Luchino Visconti a Stanley Kubrick, dal western all’horror alla commedia all’italiana.
Su tutti, si aggira un “custode” sui generis, Picasso.
Picasso è il gatto del museo, e potrà capitarti di vederlo aggirarsi con assoluta padronanza in sala.
Ma in questo periodo non è solo.
Sì, perché accanto alla sala della collezione permanente ce n’è un’altra, la Cinecittà, quella dedicata alle mostre temporanee.
E quella in corso fino al 7 aprile si chiama “Miao, si gira!”
Hai già capito di cosa si tratta vero?
Da Colazione da Tiffany agli Aristogatti, entrando in sala sarai circondato da manifesti, cimeli, poster e racconti dedicati a lui, alla figura del gatto nella storia del cinema.
Film sentimentali, commedie, capolavori e persino film horror: il cinema delle più varie sfaccettature non si è lasciato scappare l’occasione di “scritturare” mici per i suoi ciak, e in questa mostra ne puoi osservare molti in un bel percorso fatto non solo di locandine e memorabilia, ma anche di interessanti “dietro le quinte” che ti svelano per esempio il lavoro di addestratori e registi intorno ai gatti attori, oppure ti segnalano piccoli grandi chicche, come l’omaggio dei fratelli Cohen nel loro ultimo film, “A proposito di Davis”.
Il protagonista si ritrova infatti solo con un gatto (nella realtà gli attori felini sul set erano tre, impiegati a turno nelle varie scene in base alla propria indole), senza nome (almeno fino alla fine del film), prezioso riferimento all’altro micio senza nome, quello appunto di Colazione da Tiffany, che tra l’altro uscì nelle sale nel 1961, proprio l’anno in cui è ambientato il film dei Cohen.
Per questo il consiglio è: non limitarti a girare per la sala “accontentandoti” dell’effetto amarcord che inevitabilmente buona parte delle locandine ti ispirerà, ma soffermati a leggere queste storie, anche se solo sono piccoli grandi esempi di come gira il meccanismo del cinema.
Gatto anche come metafora, di una certa furbizia, di un certo modo sinuoso di muoversi, di certe movenze seducenti.
E quindi alle pareti trovano posto anche felini decisamente simbolici, come La gatta sul tetto che scotta, del 1958, oppure Caccia al ladro di Hitchcock, in cui il ladro di gioielli John Robie è noto proprio col soprannome Il gatto.
Ovviamente non potevano mancare i cartoon, con una carrellata di mici celebri capaci di abbracciare le infanzie di parecchie generazioni, da Felix il Gatto allo spin-off irresistibile di Shrek, il famoso Gatto con gli Stivali che parla con la voce di Antonio Banderas, e poi ovviamente gli Aristogatti, Silvestro, Tom.
C’è anche l’animazione, e c’è persino E.T. sì, perchè Carlo Rambaldi, nel dare vita alla creatura arrivata dallo spazio, si ispirò a qualcuno di molto vicino a sè: il suo gatto himalayano.
Il museo è aperto dal martedì alla domenica, dale 14 alle 19.
=> http://www.museofermoimmagine.it/museo/index.html
Articolo di
Mariangela Traficante