Gli inglesi lo chiamano canyon.
So di non assistere al canyon più bello o per lo meno al più grande e famoso, quello americano, (che ahimè non ho visto), questo invece è il Fish River Canyon, il secondo per grandezza e questa è ancora la mia Namibia.
E’ strano vederlo dall’alto ed è un peccato non poter scender giù, un vero peccato, rimarrò per questo con la bocca asciutta.
E’ un labirinto di valli, strette, larghe, tortuose o anche no.
Il labirinto lo si vede bene, è marcato in profondità.
Anche le rocce alte che gli sfiorano le spalle sono state tracciate con il colore naturale del tempo, con l’acqua e il vento.
Continuando a guardarlo il labirinto confonde la mente, la percezione dei punti cardinali.
L’arrivo al Canyon View Lodge (entrata da Habas) è curioso come oramai ci ha abituati questa terra polverosa.
Si lascia la via maestra per avventurarsi nell’ennesima strada sterrata e sassosa per circa 3-4 km, la meta raggiunta è una casa adibita anche a reception.
Due chiacchiere e disbrigo delle formalità e via, il proprietario ci chiede di seguirlo verso i bungalow che si trovano a circa 12 km, dodici.
Della serie “Non dimenticarti niente alla reception”.
Il lodge è sistemato davvero sul crinale dell’altopiano del canyon per facilitarne la vista, e volendo anche il volo di sotto.
Se come me soffri di acrofobia (paura dell’altezza) basterà goderti il panorama a mezzaluna dal terrazzino del bungalow oppure passeggiando più in là a debita distanza.
Qui non si paga per la sistemazione (che per altro è carinissima) ma per la veduta ravvicinata.
L’escursione in jeep ti ballonzola qua e là per proporti altre occhiate sul canyon.
Al momento non si possono fare escursioni quotidiane nell’interno, l’unica possibilità è di partecipare a un trekking lungo alcuni giorni.
Tu informati se le cose sono cambiate.
Decidi se fa per te, ma sappi che io il Fish River Canyon l’ho inserito nella mia lista chiamata “se tornassi indietro”.
Perché guardare le cose dall’alto fa sentire più importanti ma non ti fa capire l’essenza, i particolari.
La luce e il cielo “cartolinesco” entrano bene nell’obiettivo, ma ti senti comunque di aver tirato su con il dito un ricciolo di panna dal dolce, l’hai messo in bocca e adesso ti stai chiedendo se il piacere che ti arriva è per quello che stai assaggiando oppure per quello che ti aspetta.
Ora ne hai più voglia di prima.
Ma niente non te ne toccherà nemmeno una fetta.
Sarà dovuto alla conformazione e all’estensione dell’altopiano, un enorme terra piatta e senza vegetazione, al buio assoluto che ci conduce alla nostra camera o al fatto che questa è stata una mia “prima volta”.
Mentre cammino illuminando con una torcia i sassi davanti a me mi accorgo che non solo il cielo è mitragliato di stelle, ma si scorge la sfericità della Terra, in questo caso infatti, il cielo appare a forma di cupola come fossi all’interno di quelle palle natalizie che si agitano per far scendere la neve finta.
La vista inaspettata e sorprendente alla fine mi procura malessere.
E’ durante il tragitto per l’ultimo nostro stop che conversando con gli altri mi accorgo che il malessere ha contagiato tutti.
***
La strada risale la cartina nel senso opposto, verso la capitale, e questo in un viaggio vuol dire una cosa sola.
Si passa per Keetmanshoop, il Quivertree Restcamp è a 15 km da qui.
Sono qui per la foresta dei Quiver tree (l’aloe Dicotoma, albero faretra o Kokerboom).
La foresta è composta da alberi bislacchi, essi sono completamente glabri, i rami tendono a crescere verticalmente e hanno alla fine di ciascun ramo una pianta di aloe.
I fiori gialli dell’albero o dovrei dire delle aloe raggiungono anche i 30 cm di altezza.
Entrando in questo parco se ne possono vedere molti, qualcuno risalente anche a 300 anni fa.
Sono cresciuti in maniera autonoma su un terreno altrettanto strambo, gli arbusti spuntano qua e la tra composizioni multiple di macigni rocciosi, tipo un gigante che ha giocato con le costruzioni, la zona è guarda caso chiamata Giants playground (foto all’inizio).
Il luogo non è mai affollato, la passeggiata dura poco, considera un’ora, per questo è sufficiente e conveniente essere qui prima del tramonto, ma anche prima della chiusura del parco!
Al campeggio vendono le piantine del Quivertree, l’idea è quella di acquistarne una, un tentativo di portarsi a casa un pezzo di Namibia, tentativo non riuscito.
L’alberello è rimasto qui.
E, scendendo dall’aereo il malessere è diventato malattia.
P.S. Se stai pensando ad un viaggio in Namibia ti consiglio di buttare uno sguardo a http://www.lanamibia.it e http://www.namibiatourism.com.na
Articolo di
Silvia Balcarini