Qualcuno mi deve chiarire perché il deserto piace, di più, affascina, considerando che se proprio si vuol essere asciuttamente didascalici è una distesa mossa di sabbia a perdita d’occhio; tra l’altro diciamolo, la sabbia non ha nemmeno la nomea di essere tra le più simpatiche creazioni della natura essendo capace di infilarsi ovunque, seccarti la pelle e lasciarti con molta difficoltà e, se incorri in una tempesta te la ritrovi nel naso-bocca-occhi-capelli.
E nel deserto manco puoi fare il bagno!
Ma si sa l’uomo è un essere molto strano e quindi ti ritrovi lì come un ebete a guardare questa specie di nulla come di fronte a un’opera d’arte di difficile esecuzione.
Secondo me questa domanda se l’è fatta anche lei, la Natura certo, (di chi sto parlando?) e alla fine c’è venuta pure incontro tinteggiando e grattugiando quando più e quando meno i granelli che lo compongono.
Per questo i deserti non sono tutti uguali, così come la sabbia e le dune, dimostrandoti perciò che sto popò di paesaggio mono composto riesce perfino ad essere cangiante e mutevole.
Tu lo sapevi che le dune sono state catalogate secondo il loro aspetto?
Io non lo sapevo, l’ho imparato leggendo la guida.
Ti annoto le più importanti e intuitive fregandomene del fatto che puoi leggerle anche tu sulla tua di guida!
Praticamente, se sono a forma di dosso, quindi con la cima molto tondeggiante, si chiamano “a Parabola”.
“A collinetta” sono della stessa forma ma basse, di soli 2-3 metri, ecco perché è più facile che contengano o abbiano vicino piccoli cespugli o erba.
Quelle “a Stella” hanno crinali irti come fossero colonne vertebrali, inoltre, formando più crinali in diverse direzioni assumono vedendole dall’alto o da lontano una forma che ricorda una stella. Sono le dune più alte e per me le più belle.
Le “trasversali” sono quelle che continuano in maniera stretta e soprattutto lunga tanto che a guardarle ricordano i crinali di una catena montuosa.
Le dune “barcane”, qui si entra più sul difficile, sono quelle a mezzaluna le più “pericolose” perché sono quelle che si muovono di più e inghiottono tutto quello che raggiungono.
Infine le “Seif” praticamente è l’increspatura fitta e lunghissima che la sabbia riesce a fare, più che una duna lo definirei un fenomeno (visibile nel piccolo anche sulla sabbia marina). A me ricorda l’effetto frisé sui capelli.
Direi che può bastare…
In Namibia deserto vuol dire Namib Desert Park, che racchiude la parte più facilmente accessibile e visitata: il Namib-Naukluft Park.
Ripetendo il concetto che la Namibia è una delle terre più aride al mondo il suo deserto è però “bagnato” spesso dalla nebbia che favorisce l’habitat di numerose specie di animaletti imparentati con le lucertole, talpe, ecc…: insomma sotto terra o rasoterra ci sono un sacco di abitanti!
E non solo, è caratteristico di questo ambiente la piacevole vista di springbok, orici, manguste che pascolano nella medesima cartolina sabbiosa.
Un effetto calamita per le foto.
Non sono un’esperta di deserti ma qualcuno l’ho calpestato: quello sahariano da più punti di vista, il peruviano, l’argentino, quello indiano e il kalahari (un mio scheletro nell’armadio è la classica raccolta delle sabbie in piccole ampolle, mooolto kitch) e posso proclamare il Namib, il deserto più vecchio del mondo, come il più bello nel senso intrinseco della parola, quello puramente estetico ma, per ammettere questo, non ci vuole uno scienziato.
Il Namib impressiona per l’altezza delle sue dune che appaiono a tratti come montagne, persino nei colori, ma definire il colore di questo deserto in uno soltanto è riduttivo e soprattutto non reale.
Che ore sono mentre lo stai guardando?
E il cielo è celeste, azzurro o ci sono delle nuvole?
La duna che stai calpestando sta addossando la sua ombra su un’altra?
E tu hai indosso gli occhiali da sole perché queste macchie di colore riflettono il sole e ti accecano?
Che tu lo percepisca come una caramella toffee, del miele millefiori o di castagno, una marmellata di arance o il frutto del caco non importa, qui i colori sono diversi, intensi e atipici per un deserto.
E oltremodo unici sono Dead Vlei e Hidden Vlei o semplicemente la pozza secca di Sossusvlei.
I nomi non ti dicono niente ma le immagini sì, basta che ti dica che ai tuoi piedi c’è la terra dura e spaccata dal sole, si vedono le scaglie, hai dinnanzi a te l’anfiteatro colorato delle dune e in mezzo un albero secco in posa per la foto, ecco vedi che l’hai presente!
Comunque non mi si venga a dire che qui non c’è stato un arredatore… opss un designer, qui tutto lo lascia trapelare, i colori forti che ben bilanciano l’ambiente open-air e l’arredamento minimalista interrotto solo da un grande suppellettile che attira l’attenzione e spezza la composizione minimal-chic, lo stecco d’albero lasciato nel colore natural. Chissà quanto avranno speso.
Dormi a Sesriem in guesthouse, ranch o lodge, arriva all’entrata del parco il prima possibile (rinuncia alla colazione cribbio!), quando lasci l’auto a Sossusvlei fai l’andata a piedi e il ritorno in jeep, rientra a fine tramonto.
Praticamente: fatti durare la giornata più che puoi e ti sentirai più volte, un ebete.
P.S. Quando scalerai la Duna 45 e scenderai rotolando (un po’ per divertimento un po’ per riprendersi dalla fatica) fammi sapere questo: hai notato la differenza nel salire su queste dune rispetto a scalare una duna del Sahara?
E’ una mia impressione o le dune del Namib sono più compatte delle altre?
Mi spiego: quando sono andata a vedere l’alba dall’alto di una duna in Tunisia ho sudato sette camicie perché come mettevo un piede per salire, lo stesso si infossava nella sabbia e per di più riscendeva facendo sì che io continuassi a camminare sul posto, un’agonia.
Questo effetto non l’ho provato in Namibia.
Tu lo sai il perché? Conosci un parente, amico, conoscente, prete, studioso che può spiegarmelo???
Articolo di
Silvia Balcarini