Muoversi, osservare, e poi scrivere per condividere è sempre emozionante, sono comunque i progetti che stanno dietro ai luoghi a trasmettere la voglia che spinge il narratore digitale a salire su un treno.
Sono le storie il suo carburante: i piccoli dettagli, la passione di un produttore, di un artigiano o di un negozio che vende prodotti “altri”; le vie delle città, le colline e le montagne raccontate da guide appassionate.
Noi esseri umani viviamo di storie, che siano di romanzi, film, amici o conoscenti.
Lo storytelling è molto più che vendere una località o un pacchetto vacanze.
Quando ho sentito parlare del progetto #Triestesocial ho intuito che non era il classico blogtour – sempre che esista il classico blogtour.
L’invito nel capoluogo friulano era un evento di respiro internazionale per promuovere Trieste attraverso un invasione digitale di smanettoni pronti a instagrammare e twittare raccontando in istantanea una città di frontiera.
L’idea è semplice: due donne attente agli sviluppi del web in collaborazione con il ben organizzato gruppo Instagram del Friuli Venezia Giulia hanno deciso di far raccontare la Barcolana e Trieste attraverso gli occhi e i telefoni di blogger e igers locali, nazionali e internazionali.
In tutto più di un milione di followers, numero che spiega bene la portata della rivoluzione nel mondo della comunicazione che è ora in atto.
Per due giorni mi sono trovato immerso in una Trieste resa più affascinante dalle nuvole e le nebbie, tra vele all’orizzonte, locali storici, palazzi liberty, decadenza e modernità, tra discorsi sulle nuovissime tecnologie e decine di progetti… come a dire che esiste un sottobosco felicemente iperattivo nonostante tutto.
Tra fotografi e comunicatori di professione, come @giariv, @mr_giallo, @Ilarysgrill, giovanissimi come @andykate e il gruppo di @igersfvg, ho avuto la fortuna di osservare da vicino le barche storiche che veleggiavano nel golfo di Trieste, con il Carso avvolto dalla foschia, passare vicino al gruppo della Scuola Speciale creata da Vincenzo Onorato, armatore di Mascalzone Latino, che mira a coinvolgere i giovanissimi dei quartieri più disagiati di Napoli; insegnando loro lo spirito del lavoro di gruppo, la responsabilità personale e sociale, lo sport dimostra concretamente la possibilità di cambiare in meglio la propria vita affrontando e vincendo le sfide del mare.
E poi il Castello di Miramare, il suo parco che sa di Mediterraneo e Mitteleuropa; l’arte povera di Kounellis al Salone degli Incanti, con relitti di barche a rimandare alla Barcolana; i locali tipici dove gustare un panino al prosciutto cotto in crosta di pane con una spolverata di rafano o cren in dialetto triestino.
I caffè storici e i luoghi religiosi come la sinagoga; i resti romani che affiorano tra palazzi liberty di quell’inizio del’900 in cui Trieste era il porto dell’Impero Asburgico e culla di un movimento artistico fatto di poeti e scrittori come Italo Svevo, Umberto Saba e Joyce.
E fermarsi a riposare, ricaricare i telefoni e lo spirito con una cioccolata calda equa e solidale in un bar artistico con forte vocazione sociale, con un cupcake e una tazza di un buon tè verde in uno spazio che ricorda i locali del Nord Europa, o in un luogo attento ai prodotti biologici nella città vecchia, in una cantina dal soffitto a botte.
Non è certo in un tweet o in un post che si possono raccontare gli angoli, le prospettive e i riverberi di una città come Trieste, territorio di confine, tra Est e Ovest, con echi di imperi, guerre, commerci e poesie.
Il focus è in continua espansione verso aneddoti, riflessioni e spazi che trasmettono un’energia non facile da imbrigliare.
La fortuna è essere in tanti a farlo, i tweet e gli scatti si moltiplicano e quello che non vede una persona lo coglie l’altro e poi si condivide, perché essere social non significa solo mettere @ o # ma creare esperienze condivise e permettere a ogni voce di dire la sua in modo smart, senza filtri e barriere.
Articolo di
Luca Vivan