Grado è la sponda del Mediterraneo del nord a cui torno ogni tanto per lasciare che il mare e il suo vento portino via le cose che non servono, per osservare libero l’orizzonte che va fino al Carso e all’Istria, per uscire dalle strade meno battute e abbandonarmi alla quiete della sua laguna.
Anche in una località così frequentata dal turismo esistono momenti e spazi che si allontanano dalla confusione, ti basta venire qui in inverno, a smarrirti nella nebbia o nel soffio della Bora, il vento dell’Est. Dietro la spiaggia, già celebre in epoca austroungarica, e i palazzi moderni c’è un vasto specchio di acque salmastre, in cui salpare per un piccolo viaggio nella natura e nella pace.
A poche miglia dal porto di Grado una piccola barca diventa la chiave d’accesso ad un mondo antico che si trasforma ogni giorno seguendo il ciclo delle maree. Nella laguna i contorni sono quelli netti delle montagne vicine e delle isole, e poi ci sono quelli incerti, delle acque e del cielo, quasi dei miraggi che cambiano con le stagioni e con le nuvole, che passando qui si specchiano per poi andare via.
Lascia perciò l’antico centro storico e la spiaggia, fatti portare su qualche isola in cerca di un casone o un’abitazione più moderna, come a Valle del Moro. Tra le tamerici e le valli da pesca non ti sembrerà nemmeno di essere nell’alto Adriatico ma in uno spazio lento e tenace, che ti entra subito nella pelle e come una carezza ti fa dimenticare di quello che c’è là fuori, rumore, preoccupazioni, stress.
Ho dormito in questa isola, l’ho esplorata al mattino e la sera, ho colto il suo invito ad oziare e l’ho lasciata solo per toccare un’altra sponda della laguna. In un mattino di inizio estate sono tornato nel centro di Grado e tra i primi turisti che si svegliavano ho preso una bicicletta. Senza fatica ho seguito le piste ciclabili, lungo i canali, allontanandomi dagli hotel e dai campeggi, fermandomi per annusare il profumo di una siepe di gelsomini o per indovinare il contorno di un’isola.
Senza fretta sono arrivato nella campagna e lungo una stradina sterrata sono entrato in un piccolo giardino, il centro visite di Valle Cavanata.
Una biologa e guida mi ha mostrato parte delle vecchie valli da pesca e di caccia, dei canali regolati dalle chiuse artificiali e dalle maree del mare che è qui a due passi. Sono 250 ettari di riserva naturale in cui i bambini delle scuole vicine vengono per fare scuola in modo alternativo, impegnandosi nello sport o aiutando nelle attività quotidiane del centro, per imparare a conoscere meglio un luogo prezioso, per il loro territorio ma anche per tutti coloro che viaggiano per entrare in contatto con la natura dei luoghi.
E qui la laguna di Grado è una madre che accoglie uomini, piante e animali rari, una forza esuberante, dai colori accesi, il verde delle piante testarde, il blu delle valli e del mare selvatico, il giallo delle alghe e il rosa di alcuni nuovi ospiti, i fenicotteri che da pochi anni arrivano qui in primavera dalle Valli di Comacchio, dalla Spagna ma anche dal Nord Africa.
Senza fretta ritorno verso Grado, ora gremito di famiglie e giovani che si godono il sole. Mi siedo sulla diga a seguire una vela che si allontana verso est, prima del tramonto quando tutto torna a riva, in cerca di un bicchiere di vino e un piatto di pesce, tra le risate e la leggerezza dell’estate. I gabbiani volano sopra i vecchi tetti delle case quasi a mostrarmi la via, il porto dove mi attende la piccola barca che mi porterà nella notte della laguna, dove c’è solo la luce delle stelle e la pace delle piccole cose, quelle che contano davvero.
Articolo di
Luca Vivan