Parlare dell’Asia mi mette sempre una certa ansia, un timore reverenziale che nasce dalla più lontana storia e prosegue in avanti con i racconti contemporanei di giornalisti-scrittori dai quali tutti noi abbiamo subito il fascino e l’influenza. Loro questi luoghi li hanno abitati, indagati, tu invece? Ci sei andato in vacanza.
La sola percezione differente di uno scorcio, di un passaggio, di una città, mi mette in soggezione, non so se parlarne o meno, tenermelo per me. Non serve dire che una ventina di giorni crea solo un effetto simile a quello di avere negli occhi una sorta di manciata di coriandoli volanti e colorati. Riesci a vederli tutti, cerchi di immagazzinarli dentro di te ma chi ti dà la sicurezza che li hai realmente recepiti!
Poi però mi accorgo che dell’Asia ce ne è per tutti, è un capitolo sempre aperto perché in continuo movimento, a tratti è talmente veloce che la sensazione è quella che il tempo non rispetti certe tempistiche e convenzioni umane. Non fai in tempo a descrivere un luogo per come è, che non è più, tu che sei in partenza puoi raccontarmi versioni differenti.
L’idea è che tu sia lo spettatore di una vetrina che sta per essere sostituita, nessuno sa come, ma quello che è certo che chi è dietro di te ne vedrà già un’altra. Nel frattempo però vedi un frammento, quello è invariato da secoli.
Il mio sbarco in Asia risale a 15 anni fa in Tailandia, poi c’è stata l’India, 3 anni fa la Cina, adesso il Vietnam e la Cambogia. Credo ci sia ancora il bisogno di dire che sono universi paralleli accomunati solo, e non sempre, occidentalmente parlando, da quegli occhi fruttati che a guardali bene si contraddistinguono eccome.
Adesso va di moda tra le recensioni menzionare l’effetto wow, ovvero il momento shock, quello di estremo stupore. Ecco se dovessi rispondere direi che l’ho avuto poche volte come forse non mi era mai capitato prima. Eppure sono tornata colma di belle sensazioni, e soprattutto, rilassata. Sì, per quanto non sia mai stata ferma, tra il caldo umido sfiancante e gli ambienti climatizzati agghiaccianti, questi due paesi mi hanno regalato una certa tranquillità.
Mentre ti scrivo mi sto chiedendo il perché; mi vien da partire dalla sensazione immediata di sentirmi a mio agio con le persone, già provata in altri frangenti ma stavolta più forte o quanto meno differente , forse perché intrecciata con la confidenza e la giocosità del cibo di strada, e accompagnata dalla percezione di sicurezza che poi non so dirti quanto sia stata reale. Mi sono spersa per le strade buie senza pormi domande, mi sono fidata di consigli dati velocemente da sconosciuti. Non ho mai tenuto sottocontrollo il mio bagaglio e il mio zaino, non mi sono mai sentita sotto occhi di nessuno. Il rapporto con il turista è un po’ quello di: ognuno reciti la sua parte, nel rispetto di entrambi, senza troppe sceneggiate.
Neppure l’insistenza è stata lunga, nemmeno nei siti cambogiani più famosi. C’è forse un po’ meno curiosità nei nostri confronti oppure è il pudore di chiedere una foto insieme. Che forse stavolta non abbiamo ancora provocato danni irreparabili con il nostro turismo made in occidente? Speriamo.
I vietnamiti specialmente sono persone di indole pacata, parlano a voce flebile tanto da non poter mai disturbare con le loro conversazioni aperte o telefoniche. È un capitolo che mi ha dato molto da pensare, tanta e continua la gente in strada capace di non infastidire nessuno semplicemente tenendo la voce bassa. Che nostalgia.
L’educazione mi ha catturata, nei visi, nei gesti una presenza costante senza differenza di genere e di età. Bambini, ragazzi e studenti che hanno proprie le buone maniere, capaci di impressionarti ad ogni manifestazione e di mancarti qui a casa dove sono estinte. Incontri gruppi di ragazzi che cercano garbatamente qualcuno che parli una lingua straniera in modo da fare pratica.
Il traffico specie all’ora di punta è una reale attrazione turistica, impossibile per noi guidare nelle città, il loro occhio arguto, la precisione nelle manovre è qualcosa che a tratti raggiunge la perfezione. I motorini sono l’attrazione nell’attrazione, tutti sono al volante con i loro caschi colorati e dai modelli curiosi, cappellino da baseball incluso. Riescono a portare amici, colleghi e parenti, famiglie di 4-5 persone, neonati posizionati su appositi seggiolotti e qualunque altra merce che, come qui da nessun’altra parte, ho visto raggiungere certi primati in precisione, efficienza, stazza e numero impossibile teoricamente da un punto di vista logico-matematico. Devi star li a guardare il passaggio, armadietti, materassi, specchi. Tutti in possesso delle loro mascherine. Ce ne sono per tutti i gusti, disegnati o meno, differenti per grandezza e copertura voluta, capelli compresi.
Al contrario di altri paesi asiatici qui la guida è dolce, senza movimenti bruschi, accelerate rapide o frenate veloci. Sembra di assistere ad uno sciame d’api, tutti si muovono in sincrono, con gesti lenti ma continui, è così che s’intende avvertire gli altri dei nostri spostamenti in modo che anche i prossimi si possano inserire lentamente avvertendo a loro volta. Il risultato è che nessuno resta fermo, per cui non è necessario seguire i colori dei semafori. Nel nord del Vietnam c’è l’accompagnamento del cinguettio dei clacson, che avvertono quando sorpassano, in Cambogia e nel sud del Vietnam lo si è quasi abbandonato.
No, non devi preoccuparti, se sei un pedone come in Cina o in India, ti basterà seguire le regole; passi lenti ma continui e vedrai che auto, scooter e qualsivoglia ti scanserà, se vuoi puoi anche aggiungere una mano bassa che saluta se sei ad Hanoi, in alto se ti trovi a Saigon. Serve un po’ di coraggio le prime volte quando ti sembra impossibile che arriverai all’altro versante senza che nessuno ti metta sotto. Ripeto non ti far prendere dall’ansia andando avanti o indietro, fermandoti in mezzo alla strada, o ancora peggio aumentando o diminuendo la camminata all’improvviso.
Spesso accade viaggiando in Asia di sentir parlare di ricostruzioni recenti di templi e palazzi originariamente in legno ma distrutti da incendi; quello a cui invece non ero abituata era il continuo ripetere: “distrutto dalla guerra”. Anche questa è stata una presenza costante in questo mio viaggio, difficile da non tener presente.
Articolo di
Silvia Balcarini