Il Friuli-Venezia Giulia è una regione ricca di dettagli, spesso ignorati dai suoi stessi abitanti, piccole tessere di un mosaico che non a caso la celebre Lonely Planet ha deciso di inserire tra le destinazioni da vistare nel 2016.
L’arte del mosaico, della lavorazione della pietra in generale è proprio una delle caratteristiche che si scopre visitando quella parte della regione che si trova a nord di Pordenone, vicino a Maniago, che da poco ha ottenuto il marchio “bandiera arancione” del Touring Club.
Da qui voglio partire per un piccolo suggerimento di viaggio, per un invito a visitare parte del mio territorio. Non ti servirà molto tempo, potrebbe bastarti una giornata ma ti consiglio di prendere il tuo tempo, di sederti per un buon bicchiere di vino in un’osteria o per vagare in un bosco, godendo del silenzio e dell’aria pura di luoghi che vivono lontani dal turismo di massa.
Maniago è una città antica, con tracce visibili di Medioevo e Rinascimento, come il Palazzo d’Attimis che si affaccia in Piazza Italia. All’apparenza nascosto dalla vita moderna è un vecchio centro del potere politico, con il suo giardino all’italiana che osserva le rovine del castello adagiate sulle colline, con le sue stanze decorate di affreschi e stucchi, con la sua aria elegante e ben conservata che ricorda la prosperità di una città dedita da secoli alla lavorazione del metallo e in particolare dei coltelli.
A questa tradizione è dedicato il vicino Museo dell’Arte Fabbrile e delle Coltellerie, uno tra i più ben organizzati della provincia di Pordenone, con un percorso espositivo ed una raccolta capaci di catturare l’attenzione del visitatore. Dopo la città è ora di proseguire verso le montagne che come un abbraccio proteggono Maniago.
La prossima tappa dove ti voglio portare sono le grotte di Pradis, in una zona di colline che ho conosciuto da poco, dove ci sono tra i canyon più belli della regione, la Val Cosa. Serpeggiando lungo strade poco frequentate arriverai al paese di Clauzetto, chiamato anche il balcone del Friuli, perché da qui si può vedere gran parte della regione fino a Trieste e anche oltre.
Prosegui oltre le case, addentrati nel bosco di faggio fino all’ingresso delle grotte, cavità scavate nei millenni dal torrente Cosa, dimore di animali e uomini nella preistoria ma anche di esseri come le Agane, creature dell’acqua e del sogno.
Il rumore del torrente scava la sua via nella roccia, creando spaccature nella terra e frammenti di bosco, visioni di un luogo ancestrale, dove la vita di ogni giorno appare lontana. Prima di lasciare questi scorci concediti una passeggiata, lungo la strada principale, silenziosa di macchine e voci, permettiti il lusso del silenzio, riempi i polmoni di aria fresca e sentori di resine. Seguendo quasi il torrente Cosa si arriva ai piedi dei monti, tra i pendii che scivolano verso il Tagliamento, uno dei pochi grandi fiume d’Europa che corre intatto nel proprio letto, terra di antichi vigneti quasi scomparsi e ora fortunatamente risorti.
Forgiarin, Piculit Neri, Sciaglin o Ucelut sono varietà autoctone riscoperte in Val Cosa, che ora è possibile incontrare nelle fiere internazionali o nelle buone enoteche. L’acqua che bagna le preziose piante della vite è quella che faceva girare le macine dei mulini, simboli antichi di un’economia lenta e strettamente legata ai cicli della natura.
A due passi dal Cosa, ecco il mulino di Borgo Ampiano, costruito nel XIV secolo per macinare l’orzo e oggi, dopo un attento restauro, sede di mostre, rappresentazioni teatrali, concerti e laboratori. Seppur ricche di paesaggi e biodiversità, queste terre erano povere e dai loro borghi si emigrava verso l’Europa del Nord, le Americhe e l’Australia. Ogni comunità aveva le sue capacità e predisposizioni, qui nella Val Cosa erano celebri i lavoratori della pietra: scalpellini, terrazzieri e mosaicisti. Per favorire la crescita di queste arti fu creata un’istituzione celebre, la Scuola Mosaicisti del Friuli, a Spilimbergo, che ogni anno giovani da tutto il mondo scelgono come meta per la loro formazione.
Un tempo, non troppo lontano però, erano i giovani friulani ad apprendere le tecniche di lavorazione e decorazione della pietra, per poter lavorare magari in Francia, come Primo Carnera, che prima di essere un pugile famoso, lavorava nei cantieri della Loira. A Sequals, c’è ancora la sua villa con le foto della sua vita, per molti un simbolo, quello dell’emigrante che era riuscito ad emanciparsi da una condizione di miseria.
L’ultima tappa la voglio dedicare proprio a questa forma di viaggio, non in cerca della bellezza del mondo ma per fare della propria vita qualcosa di più bello. Abbandonata la Val Cosa, prosegui verso il paese di Cavasso ed entra nel palazzo Polcenigo-Fanna, una struttura nobiliare ben conservata che illustra la storia dell’emigrazione di queste terre, racconti di vita di questo angolo del Friuli, appena pochi decenni fa.
Ti sorprenderà la sera tra la campagna e le colline, è già tempo di tornare indietro verso Maniago, per un bicchiere di vino e magari un crostino insaporito da una composta di cipolla rosa della Val Cosa o di quella rossa di Cavasso, mentre seduto osservi la vita di provincia che va e che viene, semplice nella sua tranquillità, sforzandoti di immaginare l’intreccio di storie che passano, ognuna con il proprio bagaglio di tradizioni e di viaggi, verso paesi lontani, in cerca di fortuna.
Articolo di
Luca Vivan