Quando riordinare le idee è più lungo del previsto non è quasi mai colpa della pigrizia ma di un lento sedimentare, vuol dire che un luogo o un evento non si fanno racchiudere da poche emozioni ma richiedono una visione più ampia.
Ars Electronica è un festival di arte, elettronica e immaginazione, di un presente lanciato con originalità verso il futuro. Un evento di pochi giorni, in una piccola città dell’Austria, che però ha le potenzialità di qualcosa di grande, qualcosa che ha bisogno di tempo per essere raccontato.
Era giugno quando una persona eclettica della mia città, sempre indaffarata tra esibizioni d’arte e progetti di innovazione sociale me ne aveva parlato, ricordo bene le suggestioni che mi aveva lasciato, una sorta di parco giochi visionario, dove fare il pieno di stimoli e progetti. Con la fine dell’estate è scatta la molla e ci siamo organizzati per andarci.
Era da un po’ di tempo che non facevo un viaggio che sembrava una gita: trovarsi al mattino con persone in parte sconosciute e partire per 5-6 ore di macchina verso un luogo in cui non ero mai stato, tra buone chiacchiere, idee e condivisioni.
Dopo qualche tappa siamo arrivati a Linz nel tardo pomeriggio, accolti da un clima già autunnale e dal Danubio che scorreva tra chiese e palazzi, verso colline e campagne in lontananza. La nostra sistemazione è stato un appartamento su Airbnb, era la prima volta che provavo questa soluzione e mi ha gradevolmente sorpreso, merito sicuramente dei miei ospiti, due studentesse di architettura con un cassetto pieno di tisane biologiche e cestini ricolmi di mele appena raccolte dietro casa. Mi sono sentito come quando da studente andavo nelle case di amici di amici, provando la tranquillità, la voglia di confronto e l’umanità che quando viaggio per hotel spesso manca completamente. Un’esperienza di viaggio nelle case delle persone su cui il mondo del turismo ha molto da riflettere.
Linz intanto riposava nella sua domenica pomeriggio e poco valeva tentare di svegliarla, nonostante i suoi quasi 200 mila abitanti, bar e negozi erano quasi tutti chiusi, una dimensione dell’ozio che da noi si è persa da tempo.
C’era però qualcosa che brulicava, tra le pieghe delle piazze e delle stradine quasi vuote, l’abbiamo seguito fino all’Ok Center for Contemporary Art, una sorta di quartiere dell’arte, in pieno centro, dove ci siamo rifocillati in un bar-ristorante pieno di giovani. Qui abbiamo cercato di raccapezzarci tra le moltissime proposte di un programma non semplicissimo da capire.
Vinta l’indecisione, ci siamo incamminati verso PostCity, un vecchio ed enorme edificio delle poste, ora utilizzato come sede centrale del festival e come laboratorio per la città del futuro. Ars Electronica infatti, non è solo un festival di bizzarre opere d’arte, una specie di Biennale di Venezia in cui ci si lascia rapire dagli stimoli sensoriali ma in cui alle volte sfugge il senso, è un incontro internazionale di artisti, di designer, di visionari e appassionati che cercano strategie per il mondo in cui viviamo. Quest’anno il tema era il ripensamento dell’ambiente urbano, attraverso proposte di tecnologia e di organizzazione sociale capaci di affrontare i cambiamenti dei prossimi anni.
PostCity è quel genere di luoghi post industriali che ti fa sentire di essere in una città europea, con persone che bevono la birra ad un chiosco mentre suoni poco convenzionali arrivano da un interno illuminato da luci laser e proiezioni. Entrati, ci siamo lasciati rapire da una pianista che suonava delle musiche melodiche, accompagnate da luci che coloravano le pareti di uno spazio, che al buio pareva infinito. La dimensione onirica è proseguita con suoni più elettronici e proiezioni che portavano lontano, quasi in una città sospesa, oltre il presente. Il tempo di un ultimo pezzo distorto e siamo tornati al nostro appartamento, il giorno dopo era l’ultimo del festival e noi eravamo appena all’inizio.
Il mattino è stato un comodo risveglio, cercando il giusto bar dove fare colazione e cercare l’ispirazione per la giornata. Eventi, esibizioni e mostre erano molte ma abbiamo deciso di seguire il canto degli uccelli verso l’Ok Center. In pieno centro città, tra negozi e chiese barocche, tra studenti e pochissimi turisti, c’è infatti un edificio con pedane di legno e installazioni a cielo aperto, rese ancora più surreali da alcune grandi gabbie dove si aggirano dei pappagalli tropicali che riempiono il cielo grigio e autunnale di Linz con i loro canti melodiosi.
Entrati nel palazzo, siamo andati per ampie stanze e corridoi, senza una meta precisa abbiamo seguito le suggestioni di installazioni a volte difficili da capire. Il consiglio è quello di approfittare delle visite guidate in cui vengono illustrate le opere, molto spesso delle vere e proprie invenzioni che mescolano l’informatica con il design o la grafica digitale. Dopo tanti stimoli era tempo per uscire all’aperto, sui tetti del palazzo. Questo è forse uno degli aspetti di Ars Electronica che più colpiscono il visitatore, adulto o bambino che sia. Potere camminare su pedane di legno appoggiate nel vuoto tra i palazzi del centro storico, ammirare il panorama sul Danubio e gettare occhiate curiose a pannelli ed opere mentre si sale su una torretta che svetta su tutta la città ha una seduzione potente e allo stesso semplice, potrebbe essere replicata in moltissimi altri luoghi, anche qui in Italia.
L’arte diventa così un divertimento a cui si abbandonano non solo adulti appassionati ma anche bambini che approfittano di un ambiente aperto e suggestivo, per giocare sotto il cielo. In alto, sotto nuvole grigie, tra il tetto di un museo e di una chiesa, accarezzato da un vento freddo, mi godevo questo angolo di mondo, dove per una settimana si incontrano artisti e scienziati per spostare più in là la linea dell’orizzonte.
Senza fretta, insieme ai miei compagni, sono tornato a terra e ho proseguito il mio piccolo viaggio vero l’Ars Electronica Center, il museo-laboratorio permanente da cui è iniziata l’ispirazione per il festival nel 1979, pochi passi al di là del Danubio.
L’impressione del futuro si è fatta ancora più concreta qui, tra sale dove bambini giocavano a terra con piccoli robot assemblabili, pannelli che mostravano dati sui cambiamenti climatici rilevati dai satelliti o piccole grandi invenzioni tra cui una foglia di seta capace di realizzare la fotosintesi, esattamente come le piante, in grado quindi di produrre ossigeno in situazioni dove questo sia carente. Lo stupore è aumentato quando sono entrato in una sala e comodamente seduto per terra osservavo una foto di un paesaggio alpino, realizzata con una tecnica fotografica di nuova generazione detta deep space, capace di portarti nei più piccoli dettagli, per mezzo di una definizione incredibile ed un peso di oltre 500 giga.
Non soddisfatto, ho fatto un salto nel piano interrato del museo, dove esiste uno spazio per i più giovani, in cui poter disegnare su schermi touch o stampare in 3D, più molte altre operazioni, a confine tra l’arte digitale e la sperimentazione tecnologica.
Rimanevano altri convegni, i suoni elettronici di PostCity e chissà cosa altro ancora ma eravamo saturi di stimoli e impressioni, per cui siamo saliti nel tetto dell’Ars Electronica Center per un tè sul Danubio, prima di tornare in Italia con la mente rapita in un vortice di idee, nemmeno poi tanto bizzarre, da condividere.
Un giorno non basta per un festival di questa portata, serve più tempo e ho già voglia di prendermelo per il prossimo anno, per un’altra immersione in un futuro che in verità è sempre più qui nel presente.
Articolo di
Luca Vivan