Che la coda l’avevamo è risaputo e poi c’è l’osso sacro a dimostrazione del fatto. Non vi è però traccia di muscolatura adatta al volo e neppure al salto al lungo raggio.
Ciance per dire che: io ho paura di volare.
Da sempre, tra l’altro. La prima volta è stato un brivido, un misto di emozioni forti e positive a cui mano a mano si sono aggiunte preoccupazione e ansia.
La mia paura di volare non vuole scomodare psicologi o le compagnie aeree che sembrano organizzare (fantomatici) corsi sul tema. A proposito: hai mai conosciuto qualcuno che vi ha partecipato? E poi come è andata a finire? Comunque…
La mia paura è proprio una sindrome con evidenti sintomi dalla causa conosciuta e consolidata.
Io ho dolori di pancia che iniziano appena varcato l’aeroporto, tra la prima e la seconda porta scorrevole. Mi salvano un po’ le operazioni di check-in e d’imbarco, la mente la tengo impegnata sulla difficile scelta di rimettere a posto il passaporto oppure tenerlo in mano. Per darti un’idea del livello a cui porto il mio cervello come personale terapia antiurto!
Non riesco mai a dormire durante il tragitto e provo una cattiva gelosia per chi ci riesce. Odio tutto ciò che informa sullo stato del volo. Chi se ne frega cosa sto sorvolando, vorrei vedere solo il mio film in santa pace! E vorrei tirare i peli del naso a chi gli è balenata l’idea di piantare una telecamera sulla superficie posteriore del velivolo per partecipare visivamente anche al momento dello stacco dal suolo.
Perché questa paura?
La Paura è sempre generata da tutto ciò che non si conosce o, come in questo caso, da ciò che non si può controllare. Molti infatti hanno paura perché non sono loro alla guida. Io invece vado un po’ sul banale. Ho paura perché l’aereo può cadere, punto; e al diavolo le statistiche.
Per quelle Trilussa docet. Se non la conosci leggiti la spassosa quanto intelligente poesia dell’artista.
Quindi che l’aereo sia il mezzo più sicuro del mondo io me ne infischio. Di più, appartengo al gruppo che fa notare che quando un aereo cade, cade per davvero! Io dichiaro la mia popolare solidarietà a chi dice che viaggiando in auto, in treno, in nave, le mezze misure sono molte rispetto alle nefaste. In aereo mmmmh.
Resto saldamente seduta con coloro i quali affermano che si possa vivere anche senza salire in aereo.
Sfatiamo un altro mito, più si ripete una cosa, più la paura scende. Un corno! (trad. Per niente!)
Anzi, più aerei prendo e più mi dico che sto sfidando la sorte. E tu non sorridere che stai parlando con una che ha paura! Certo
lo ammetto, la paura rimane ma si acquista confidenza (che è diverso) e contemporaneamente si possono prendere precauzioni, inventarsi astuzie, cercare aiuti. Io cerco sempre di non volare da sola, di non guardare mai film in tv sui disastri aerei, penso invece solamente alla meta, alla lettura e non mi vergogno a dire che mi è capitato di prendere anche un piccolo tranquillante. La realtà è che si deve convivere con la paura che sia quella di volare o scegli tu quale.
Non importa se tu smetti di mangiare o scappi al gabinetto. La paura ti entra dentro come una scarica elettrica, necessita di un entrata e di un uscita per funzionare.
E allora perché diavolo motivo voli, non te lo ha ordinato il dottore! Si può essere viaggiatori rinunciando all’aereo? Ma certo! Lo si può fare non solo e per fortuna per la paura di volare ma anche per motivi ambientali, per la ricerca di un viaggio più lento, alternativo.
Le motivazioni sono, come sempre, tante e personali. Cammina, corri, sali, scendi. Non importa con cosa e da cosa.
Ma non rinunciare a priori a volare tu che dici, come me, di averne paura.
Perché in fondo è il mezzo più vicino a una democratica navicella spaziale che riesce, spesso e in un tempo limitato, a catapultarti sotto un altro cielo.
Vola perché le paure si affrontano nonostante spesso non si vincano.
Vola perché dopo le mani sudate, il fiato corto, il vuoto nello stomaco, tutte le volte che arrivi dall’altra parte c’è quel brivido.
“È un brivido che vola via, è tutto un equilibrio sopra la follia… Sopra la follia”.
Articolo di
Silvia Balcarini