Lasciare la città, la pianura, il rumore di ogni giorno per accostarsi quasi con timore alle piccole strade che corrono nella vastità delle montagne è per me un rito, per rigenerare il corpo e la mente, perché una vacanza non è solo uno sfizio ma un bisogno primario.
La mia curiosità mi porterebbe sempre in giro per il mondo, per trovare nuovi paesaggi di cui fare tesoro, nuove prospettive con cui emozionarmi. Ritorno invece nei miei passi, verso una valle a cui mi concedo lentamente, come in un amore timido, la Val Pusteria, in Sud Tirolo.
Non sono solo le saune, le decine di varianti di canederli o il pane di segale e finocchietto selvatico ad attirarmi. È la stessa dolcezza dei disegni che compongono gli avvallamenti delle Dolomiti che scendono nella valle principale o in quelle laterali, la dolcezza che si respira su un balcone o camminando lentamente a richiamarmi come una sirena benefica. È strano parlare di dolcezza quando si pensa alle montagne, con la loro nuda roccia e la loro imponenza che domina sullo spazio e anche sul tempo, grazie ai loro milioni di anni, eppure qui in Val Pusteria mi sento come cullato e mi viene più facile abbandonarmi.
I luoghi sono come le persone, hanno un loro carattere e ancora più in fondo, una loro essenza, che risulta inspiegabile ma sa attrarci o respingerci. Dopo aver goduto il giallo del sole e dei larici d’autunno ho avuto il desiderio di vedere la neve riflettersi nel cielo blu dell’inverno.
Ho scelto di andare a S.Maria, a due passi da Dobbiaco e da quel sentiero di meditazione che è stato un regalo di pace e benessere, che ho voluto condividere qui.
Ho alloggiato in un garni, una struttura che offre solo il pernottamento e la prima colazione ma che dava l’accesso a una cucina dove scaldare o preparare il proprio cibo, e a una stube, un locale accogliente come un salotto, dove sorseggiare una tisana alle erbe dell’Alto Adige. Il risveglio o il momento prima di addormentarsi era un continuo affacciarsi sul balcone in cui la vista spaziava sulla valle, da Villabassa a San Candido, sulle Dolomiti che racchiudono questo palcoscenico, colorandosi di rosso all’alba e al tramonto.
E nel freddo che questo mondo quasi incantato cercavo il calore della sauna finlandese a piano terra, dove lasciar sudare via le tossine del corpo e della mente. Dopo una robusta colazione con pane nero, yogurt, affettati e tisana lasciavo questo albergo accogliente per camminare nel sottile confine tra monti e cielo, che qui si può trovare facilmente girando appena l’angolo.
C’è un luogo in particolare che mi ha colpito profondamente come una carezza, con i baluginii dei cristalli di neve che sembravano pagliuzze di diamante gettate da una mano benevola, con le rocce dolomitiche chiazzate del rosso dell’ossido di ferro, che spuntavano da questo candore e si proiettavano verso un cielo blu come un disegno, con il suo silenzio non scalfito nemmeno da chi ciaspolava o passeggiava bagnato dal sole.
Prato Piazza si raggiunge dal paese di Braies dove c’è un lago speciale, di cui magari parlerò un’altra volta. Seguendo le indicazioni si arriva a Ponticello, dove c’è un parcheggio in cui un piccolo bus ogni mezz’ora ascende a questo piccolo altipiano, in una strada che permette di ammirare i boschi imbiancati e le Dolomiti, affrescate di macchie di rosso come fiori nella roccia. Poi solo neve e i profili delle montagne lontane, il sole che si riflette ovunque in questa distesa di bianco e l’unico rumore è il pattinare di chi pratica lo sci di fondo.
Qui non c’è nulla se non il proprio passo attento al sentiero a tratti ghiacciato, se non lo sguardo che cerca, come affamato, di assorbire l’insieme e i piccoli dettagli, fatti di avvallamenti e profili di montagne, se non il silenzio ovattato della neve e dell’aria d’alta quota, dove è giusto tacere
Articolo di
Luca Vivan