Sempre più spesso un viaggio inizia da un’immagine vista da qualche parte, altrettanto spesso non se ne ricorda nemmeno il nome, troppo difficile quando non ci si è stati, si annota solo la nazione che nel mio caso, in questo caso, è la Turchia.
Ho inserito quindi Dalyan come tappa obbligatoria, paradossalmente non leggendo niente a proposito, trascinata solamente dalla voglia di essere presente di fronte a quella stessa immagine che da un po’ avevo bene a mente. Questa cittadina si sviluppa ai bordi di un canale che porta da un lato al mare, dall’altro a un lago. L’ambiente è sicuramente piacevole e differente da tutto ciò visto finora in Turchia. Ma questo è quanto o poco più.
Dalyan ospita oramai una comunità di inglesi che non solo vengono qui in vacanza ma che qui hanno comprato casa. Ci sono delle ville favolose, colorate e curate che entrano a far parte del giro turistico, se si è da queste parti. Ovviamente il centro è ben allineato tra ristoranti, pub, negozi e i prezzi un po’ ne risentono. Devo dire comunque che essendosi istaurato un turismo stanziale e quindi un rapporto umano con gli abitanti si respira una buona aria turistica. Complice anche il fatto che non esistono né palazzine né hotel con numerose stanze.
Ho contrattato per un giro in barca che consisteva nella sosta alla spiaggia di Iztuzu, le tombe Licie (la mia immagine) e il sito di Caunos (o Kaunos). Questo perché tutto ciò è situato dall’altra parte rispetto alla cittadina. Bene inteso che esiste una strada che, da quella principale, dirigendosi verso Sultaniye li raggiunge ugualmente ma è lunga, quindi risulta più scomoda.
Il giro è di per se piacevole, l’acqua del fiume è calma e si snoda tra i canneti, la montagna a fianco e il mare alla fine, di fronte.
Le tombe Licie sono le prime ad esser viste, un attimo solamente dall’imbarcazione, il tempo veloce di decidere se vederle o fotografarle, non è possibile fare entrambe le cose. Che delusione.
Dopo di che si attracca alla spiaggia, lunghissima, monopolio degli inglesi, per la maggior parte sugli “anta”. Si prende il sole, si fa il bagno, si mangia, si beve.
L’ultima tappa è il sito archeologico. Si rivela una bella passeggiata solo per raggiungere la biglietteria e poi entrando, per trovare le prime indicazioni. La prima parte si sviluppa in basso a sinistra, la seconda più lunga salendo a destra. Direi che tutto è tralasciabile, insomma a me non ha entusiasmato niente, nemmeno il pezzo forte, il teatro che situato in alto, regala una vista più ampia.
Forse dovevo raggiungere l’acropoli posta ancora più in alto ma non me la sono sentita (servono le scarpe da trekking) un po’ per la salita ma soprattutto perché ero scoraggiata.
Uscendo dal sito ho camminato più del dovuto ed ho oltrepassato il molo a cui avevo dato appuntamento al mio barcaiolo (però non proprio affidabile dopo l’ora di pranzo…) mi sono quindi ritrovata al molo successivo. Nonostante abbia dovuto ripagare una piccola quota per ri-attraversare il fiume si è rivelata la parte più interessante della giornata: ho avuto la possibilità di passare proprio sotto le tombe Licie e stavolta ho deciso io quando proseguire.
Suggestive di notte illuminate.
La mattina seguente ho deciso di andare al centro di tutela delle tartarughe giganti del Mediterraneo le Carreta Carretas. Te lo consiglio.
In più avrai un’altra veduta della spiaggia di Iztuzu, a parer mio migliore. Molto bello il percorso in auto, il paesaggio dà un’altra interpretazione di se stesso. All’interno del centro si possono avere informazioni sulle tartarughe sia dai pannelli esplicativi che dai volontari presenti.
Ma soprattutto si possono vedere nelle vasche le tartarughe infortunate. A me è capitato di vedere anche quelle piccole, uscite dal loro guscio la notte precedente, portate qui per poterle tenere sotto controllo verranno reintrodotte più in là nel tempo. Ci sono poi quelle che hanno subito gravi danni permanenti dovuti alla pesca, schiacciamenti del carapace, degli arti o della testa che molto probabilmente moriranno o non potranno più lasciare il centro. Che pena.
Ci sono invece fortunatamente quelle che dopo attente cure potranno tornare al loro mare. La vista più assurda è stata quella di una tartaruga, sana fisicamente, ma con disturbi comportamentali e alimentari. È stata talmente cibata dall’uomo da collegarlo al cibo tanto da diventare aggressiva con tutti e confondendo perfino il proprio regime alimentare, mangerebbe sempre e di tutto.
Quando si legge: non dare da mangiare agli animali…
Articolo di
Silvia Balcarini