Descrivere un territorio è come dipingere un quadro o comporre della musica, è necessario che la mente sia libera, se non dei ricordi necessari, e che si abbia il tempo per lasciare scorrere le parole giuste. Come per un pittore e un musicista che osservano e studiano, è bene anche lasciarsi stimolare da altre parole, da libri o articoli. Prima di addormentarmi ho letto delle righe che parlavano dei nostri tempi e sul senso delle vacanze oggi.
I viaggi non sono più solo riposo e rigenerazione ma diventano dei momenti introspettivi.
Grazie al distacco dalla frenesia quotidiana, si è più inclini a guardarsi dentro e cercare un contatto con qualcosa che ci sfugge sempre ma che è sempre lì.
Le Marche è come se avessero colto questo bisogno di vacanza come momento di crescita. Non sembra un caso che questo avvenga ora, in un momento in cui oltre la metà della popolazione mondiale vive in città e si avverte sempre di più il bisogno di andare oltre i limiti angusti di uffici, bar e appartamenti, delle strettoie personali più sottili ma non meno castranti di quelle fisiche.
Un percorso tematico dal nome evocativo spiritualità e meditazione (#marchespiritualroute), non per forza legato a dei credi religiosi particolari, è nato in una regione del centro Italia che fino a poco tempo fa era marginale per il turismo, ma che non lo fu certo per i movimenti che portarono alla nascita di monasteri ed eremi nel Medioevo.
Questo spazio geografico fatto di territori diversi eppure complementari, di montagne dall’aria antica, di colli su cui riposano vecchi borghi dai vicoli silenziosi, di un mare aperto al sud e all’est del Mediterraneo, fu crocevia di monaci riformatori del sentimento religioso.
Grazie a San Pier Damiani e a S. Francesco d’Assisi, valli remote nascoste al mondo ma anche luoghi vicini alle grandi città furono percorse da persone che desideravano cambiare sé stessi e il mondo attorno a loro. Dall’anno Mille in poi le Marche, complice la vicinanza a Roma e ad Assisi, videro infatti fiorire eremi e monasteri la cui funzione non era isolarsi dal resto dell’umanità ma esseri centri che grazie al silenzio della preghiera e della meditazione potevano diventare dei luoghi di trasformazione sociale, economica e culturale. L’innovazione, termine molto in voga oggi, andava di pari passo con il lavorare l’orto, scrivere e copiare testi, accudire i pellegrini e conoscere le piante medicinali.
Quello che resta di questo piccolo rinascimento che fu stimolo per quello più grande del ‘400 sono soprattutto le chiese romaniche disseminate per tutta la regione, semplici ed austere come le loro pietre chiare. All’apparenza simili, magari abbandonate dai secoli e solo da pochi decenni “riscoperte”, sono veri e propri templi, che trascendono le morali o le tragedie di un tempo, per ritornare a essere luoghi dove lasciarsi andare al fascino della natura che li circonda o alla bellezza delle forme che li modella.
Restano le monache e i monaci, oggi pochi rispetto al passato, che portano con sé le tradizioni come quella delle piante officinali, a cui l’Ordine dei Camaldolesi è particolarmente devoto, ma anche le aperture al presente. Così nell’Eremo di Monte Giove, sulle colline sopra Fano (foto a inizio articolo), capita di vedere volantini che sponsorizzano eventi sulle opportunità della crisi economica o sulla meditazione mindfullnes, o in quello di Fonte Avellana, sapere che vicino al capitolo, stanza dove si trovano i monaci per discutere dell’andamento del convento, espongono artisti contemporanei, con opere non legate alla religione cattolica.
Nelle chiese, nei monasteri delle Marche, oltre le pietre, oltre le persone, resta però qualcosa di più impalpabile, il profondo desiderio di ritrovare dopo un lungo cammino, uno spazio tranquillo e antico. I monasteri e gli eremi sono luoghi di accoglienza, oggi come ieri, dove è possibile soggiornare nelle vecchie stanze o celle dei monaci, così come mangiare nello spazio comune, il refettorio, tra l’altro a prezzi del tutto contenuti.
Eppure, lo spazio che il moderno pellegrino cerca non è solo fisico e tra le antiche mura, in un silenzio quasi irreale, ben diverso da quello dei boschi attorno, si è più inclini a cercarlo.
“…gli uomini vanno ad ammirare le vette dei monti, le onde enormi del mare, le correnti amplissime dei fiumi, la circonferenza dell’Oceano, le orbite degli astri, mentre trascurano sé stessi.”
Lo diceva S. Agostino sedici secoli fa ma sembra attuale. Alle volte viaggiamo solo per distrarci.
Il viaggio nelle Marche allora può diventare l’occasione per superare la dimensione del turismo moderno, dello svago e della fuga consumista. Sono sempre più coloro che senza per forza aderire a credi o ideologie cercano delle risposte, anche apparentemente semplici, come il proprio benessere psicologico ed è un bene che chi favorisce il turismo riesca a intercettare questo bisogno, antico più degli stessi monasteri.
Da mio canto, so di non aver certo completato il quadro.
Le Marche e la sua dimensione spirituale, sono vaste come lo sono le storie dei luoghi, fatte di tratti di paesaggio, di scorci che da soli meriterebbero lunghe osservazioni, senza poi contare le persone, i racconti, le tradizioni e le novità. Per ora ho solo tratteggiato una bozza e anche se il quadro completo può essere vissuto solo vivendo il territorio, mi riprometto di parlarne ancora, cercando di tratteggiarne le sfumature.
Articolo di
Luca Vivan