Esistono luoghi che sono della memoria, spazi dai colori ambigui fatti come di fotografie sparse, di immagini ritagliate che emergono improvvise, magari inspiegabilmente, secondo le sinuose vie della mente, o che si affacciano timide quando richiamate dal profondo degli anni.
La vecchia statale 251 della Val Cellina, che univa la pianura e la montagna, è uno di questi anfratti dell’animo, almeno per noi abitanti della provincia di Pordenone, una traiettoria che associo a vecchi maglioni, a una Simca, auto di cui forse nessuno serba ricordo, al mio sguardo fuori dal finestrino a veder scorrere le pareti di roccia e giù in fondo, una striscia di un colore bizzarro, quasi verde, del torrente Cellina, che ancora oggi mi strappa un sorriso.
Gli anni hanno fatto pulizia dei maglioni, della vecchia Simca e anche di questa strada, ora abbandonata in una zona di nessuno, lasciata a sé stessa, libera di ritornare alla natura.
Come metafora dell’evolvere e della memoria, la vecchia statale è rimasta confinata al di fuori dei normali flussi umani, come la mia infanzia e le vecchie cassette di cantautori italiani che i miei genitori ascoltavano in macchina quando passavamo di là.
Nel frattempo è stata costruita una nuova strada, con nuove gallerie, e nuove musiche, fatte di echi e riverberi, sono giunte nella mia vita.
Vagando si torna indietro, è una certezza per il viaggiatore, e così, partendo in esplorazione della musica mi sono imbattuto di nuovo in questa strada.
Ex SS 251 è un’opera di foto e suoni, è una creazione di squadra in cui le immagini, i testi e i suoni parlano di una ricerca antropologica.
La vecchia strada diventa momento di indagine di un fenomeno, quello del lento riappropriarsi degli spazi umanizzati da parte della natura.
È il terzo paesaggio, né natura selvaggia, né struttura organizzata dall’uomo, una fase transitoria in cui l’equilibrio naturale si costruisce con semi portati dal vento o dagli uccelli, tra la disgregazione di asfalti e cementi.
In tutte le culture i luoghi abbandonati sono momenti di mistero tangibile, interstizi dove le forze della natura riaffermano il loro potere, con suggestioni o miraggi che ricordano all’essere umano la sua fragilità.
Il dub diventa lo strumento in grado di evocare questo passaggio da uno stato a un altro, gli echi e i riverberi sono infatti i veicoli di un’alchimia dove i brani vengono trasmutati in qualcosa d’altro per mezzo di una capacità visionaria ed ipnotica.
La musica è composta di arrangiamenti e mixaggi che trasformano i paesaggi musicali in qualcosa di nuovo, in modo istintivo, comunicando una grande forza evocativa.
Il dub diventa esso stesso un terzo paesaggio, perché non è strutturato come la musica a cui siamo abituati, e allo stesso tempo non è tribale, si pone quindi a metà strada tra l’umano e il primordiale.
Vorrei lasciare alle fotografie (le immagini per questo articolo arrivano proprio da lì) e alla musica il compito di proseguire in questa esplorazione, che non è più solo riscoperta dei ricordi o dimenticanza del passato ma una nuova creazione dove il presente invita a riscoprire un angolo di Friuli, con il sostegno di un progetto che vuole unire diverse forme artistiche per narrare il territorio, per “dare visione ai nostri ascolti e suoni ai nostri paesaggi”, magari raccontando di un utopico quarto paesaggio dove umano e naturale si compenetrano ed esistono in sinergia.
Articolo di
Luca Vivan