Sono ancora in Namibia.
Ho raggiunto questo posto perché l’ho visto in una vecchia puntata di “turisti per caso”, sì! sono suggestionabile.
E’ Kolmanskop, la città fantasma. Paura?
Manco per sogno.
Forse ti farà più paura (ma spero di no) la strada che ho percorso per arrivare fino a qui.
“Il volante vibra di nuovo, è il contatto con la terra battuta, ma è troppo lo stesso. Un’altra gomma è a terra. Via allora, rimboccarsi le maniche, tirar fuori gli attrezzi e la ruota di scorta.
Gli arnesi li ho presi io ma la ruota?
E’ nel baule sotto il tappetino, peccato che il tappetino sorregga le nostre 4 valigie e i nostri due zaini.
Un po’ di ginnastica non ha mai fatto male a nessuno e prima si inizia, prima si finisce.
Il baule non mi si apre, prova tu, allora noi due insieme.
La sabbia, la polvere rossa deve aver bloccato il meccanismo di apertura.
Inizio a ridere e mi porto dietro tutti.
Uno salga e passi le valigie, una alla volta s’intende.
Le passi certo, perché il seggiolino dietro non si reclina in avanti, troppa grazia sarebbe.
Apriamo tutti gli sportelli con gli annessi finestrini, saranno le 11 di mattina.
Le valigie sono sempre troppo piene e non sono fatte per essere alzate, spostate e riprese, vanno bene solo per essere tirate sul pavimento perfetto degli aeroporti.
Un sorso d’acqua, passamela grazie.
Il team si divide i compiti, uno è dentro il baule a capire come poter sbloccare il meccanismo.
E’ il momento di togliersi la maglietta e di asciugarsi la fronte.
Noi altri siamo fuori tentando di togliere la sabbia da ogni feritoia raggiungibile con dita e stracci.
Qualche piccolo pugno? Non serve.
Il disgraziato all’interno che fa capolino dal lunotto è nonostante tutto, ridicolo.
Ridiamo e siamo soddisfatti che ci siano due taniche d’acqua, in terra, vicino alle valigie.
E’ giunta l’ora di mettere in pratica tutte le puntate di Mac Gyver viste alla tv.
Il pannello viene smontato e l’ingranaggio che aziona l’apertura viene svitato, poco dopo nel silenzio ormai sopraggiunto, tac. Aperta.
Il resto è un batter d’occhio.
Unica considerazione, per oggi niente più forature, le gomme sono finite e noi per le prossime ore siamo, diciamo così, fuori paese.
Dopo una parentesi così cosa può succedere?
Siamo nuovamente fuori dall’auto. Forato?? Ancora! (paura eh?)
No, problemi di benzina; ma stavolta i problemi non i sono nostri.
Un gruppetto di donne si rinfresca come meglio può sotto un albero, all’ombra.
Gli uomini invece sono dall’altra parte della strada, quella al sole che aspettano.
Ci fanno cenni con le mani, tutti, tutti insieme.
Che fai non ti fermi…
Anche in virtù del fatto che loro si sono fermati quando ne avevi bisogno.
E poi queste sono famiglie, hanno la faccia africana di tua zia o tuo nonno.
La parte del gruppo a cui io appartengo si trova nell’ambigua e difficile situazione di dover decidere se stare con le donne cercando di capire oppure andare dall’altra parte con gli uomini per vedere cosa sta succedendo.
Da donne facciamo la spola per non perdersi niente.
Poco dopo siamo tutti insieme appassionatamente intorno al camion.
La situazione è semplice non hanno benzina, l’hanno finita e da queste parti non è casuale.
Loro in Afrikaans, noi in Italiano, parliamo e ci capiamo.
Il tubo per trasferirla ce l’hanno loro e anche la tanica, apriamo il tappo ma il nostro van sembra essere troppo moderno per questa operazione.
Stringiamo loro forte la mano con sincero dispiacere, ci ringraziano per aver tentato.”
La morale?
Scegli bene i tuoi compagni di viaggio o scegli il viaggio anche in base ai compagni.
E se ne trovi uno bravo-bravo non lasciarlo andar via facilmente, fai come me, portatelo a letto.
(l’hai letto il mio articolo a riguardo “compagni di viaggio”???)
***
La cittadina di Luderitz possiede qualche stradina pittoresca e qualche altra assolutamente anonima, ti consiglio di fare un giretto in auto e fermarti per una foto o una sosta in quelle meritevoli.
Il presentimento che si ha gironzolando per questa città costiera è quella in cui i padri pellegrini tedeschi e olandesi siano arrivati qua da poco e abbiano costruito qua e là le loro case.
La Namibia così come altre terre d’Africa sono contenitori di minerali preziosi tra cui i diamanti.
Questa zona in particolare nei primi anni del 900 fu presa d’assalto, tanto è vero che vi nacque una vera e propria città per ospitare chi vi lavorava, o meglio chi ci guadagnava, insieme alle loro famiglie.
Ancora oggi le zone di estrazione compresa la città fantasma sono di proprietà anglo-americana De Beers.
Già alle 9.00 c’è la prima escursione guidata, i biglietti si acquistano in città all’ufficio turistico oppure in hotel (in qualche caso al momento della prenotazione della camera puoi richiedere anche i biglietti), comunque controlla bene gli orari dell’ufficio, specie quelli del fine settimana, in generale puoi acquistarli prima della partenza per l’escursione fuori città ma è sempre avere notizie fresche, ci potrebbero essere dei cambiamenti.
Questa città fu abbandonata nel 1956 (si scoprì un’altra area più fiorente) e non provoca nessuna paura.
Molte delle case o meglio delle villette potrebbero essere costruite anche oggi tanto sono moderne stilisticamente.
Gli interni poi lo sono ancor di più, eleganti, confortevoli e ancora ben tenuti.
Le scale in ferro battuto decorato, il parquet, le vasche da bagno; ci sono mattonelle e carte da parati, sembra in realtà di curiosare in una casa altrui.
Io che sono leggermente curiosa e appassionata di case e arredamenti l’ho trovata una deliziosa passeggiata.
Ti aggiri come ti pare e piace in tutte le stanze, all’inizio con un certo imbarazzo poi cambiando e ricambiando casa, ti senti un possibile proprietario mandato lì tramite un’agenzia immobiliare.
La modernità della città continua anche fuori dalla zona residenziale: c’è l’ospedale, la scuola, i negozi, i serbatoi dell’acqua ma anche il bowling e le sale ricreative.
Tutti gli ambienti sono ben riconoscibili.
Solo la sabbia che imperversa dona un’aurea di abbandono, sabbia che doveva esser presente anche allora.
“Un diamante è per sempre” non potevo non scriverlo ed è vero.
Ma anche il resto lo è stato.
Articolo di
Silvia Balcarini