Ci sono luoghi che stanno lontano da tutto, dalle città, dal rumore, dal turismo e spesso anche dall’interesse di chi abita vicino. Il Friuli è una regione in gran parte montuosa e collinare che racchiude piccole e grandi meraviglie che l’abitudine fa scivolare nell’oblio.
La bellezza dei luoghi spesso è inesistente agli occhi dell’abitante distratto dalla sua routine, del giovane che vuole solo scappare in cerca di un presente migliore, delle associazioni e istituzioni che non riescono a tessere le reti necessarie per promuoverle.
Dietro casa mia ci sono piccoli mondi ricchi di natura e di storie che attendono viaggiatori attenti e curiosi, i cui occhi siano pronti a coglierne il segreto fascino.
La Val Cosa è una di queste valli, lontane dalle strade principali, quelle delle merci e dei grandi flussi turistici, spopolate con le promesse veloci dell’industrializzazione della pianura, un luogo in cui mi sono sentito turista a casa mia, tanto mi sembrava di essere lontano da quello che conoscevo o davo per scontato.
Tornare a casa e scoprire piccoli borghi o stradine che magari ho attraversato distrattamente durante una gita familiare mi aiuta in qualche modo a capire meglio chi sono e se nel percorrere questi sentieri poco conosciuti incontro persone, associazioni o aziende che amano il loro territorio mi fa sentire più ottimista per quella che viene chiamata, spesso con disprezzo, provincia, un ambiente naturale e umano che per me offre molte opportunità.
Per questo ho colto con piacere l’invito di persone conosciute in rete ad andare a visitare casa loro, a pochi km da casa mia. La strada che corre attraverso i campi incolti o quelli coltivati a vigneti e poi i colli che si fanno sempre più vicini, corpi verdi che ti inducono subito un senso di tranquillità, qui sei lontano dalla città, dalla frenesia delle automobili e il freddo del cemento, ci sei solo tu e la natura.
Gregorio e Francesca mi accolgono a casa loro con un bicchiere di sciroppo di sambuco, i cui fiori profumati riempiono i prati vicini, dove andiamo a vedere la loro coltivazione di cipolla rosa, una varietà autoctona, da alcuni anni Presidio Slow Food, un ricordo di quando queste zone erano un piccolo laboratorio di biodiversità.
La Val Cosa, fino al boom economico era infatti chiamato il frutteto del Friuli, perché tra quelli che ora sono boschi c’erano filari di mele, pere, pesche e moltissimi orti in cui si coltivano decine di varietà di frutta e verdura selezionate nel corso dei secoli, vendute nelle zone vicine da donne tenaci chiamate rivindicules.
Di questa tradizione rimane una festa che si svolge a fine agosto, Il gno ort, dove si celebra la ricchezza agricola della zona, e persone come Gregorio e Francesca che nonostante tutte le difficoltà di essere imprenditori agricoli oggi cercano di promuovere le varietà locali, nonché il loro territorio, perché non ha senso, come dicono loro, vendere solo cipolle ma bisogna che queste siano parte integrante di una rete fatta di ristoranti, alberghi, attività ricreative e luoghi da vedere.
Questi ed altri discorsi scorrono liberamente mentre siamo seduti a tavola, a casa loro, assaggiando le marmellate di cipolle abbinate al formaggio di pecora di una valle qui vicina, la Val Tramontina (parlerò anche di questa prima o poi), le cipolle scottate in padella o una frittata, ovviamente di cipolle, aromatizzata con semi di coriandolo e altre spezie tipicamente orientali. Resterei ore nel fresco di questo giardino, non solo per il buon cibo ma anche per la buona compagnia però dobbiamo partire, perché qua siamo solo ai piedi della Val Cosa, che si incunea tra quei colli verdi che mi hanno accolto venendo da Pordenone.
Lungo la strada che porta in alto, a salire verso le prealpi, un piccolo cartello ci porta a deviare verso un prato dove all’ombra di alberi secolari riposa una chiesetta, una costruzione che sicuramente molti dei locali dimenticano andando e tornando a casa dal lavoro.
La chiesa di S.Zenone è costruita come molte degli edifici religiosi della pedemontana di Pordenone e all’apparenza sembra non dire più nulla al visitatore eppure questo è un luogo di culto antico, di origine longobarda e legato alla leggenda della gallina delle uova d’oro. Tradizionalmente infatti si riteneva che sotto la costruzione ci fosse una nicchia con un tesoro o una chioccia capace di produrre uova dorate. La leggenda parla anche di un prete fantasma che apparirebbe durante la messa di mezzanotte, rivelando questo luogo segreto. Perciò la chiesa era venerata da coloro che avevano perso oggetti e proprietà di gran valore per colpa di inganni o tradimenti.
Promesse d’abbondanza all’ombre di colline un tempo giardini rigogliosi, la Val Cosa racchiude molti tesori di cui non riesco a parlare solo in un articolo, per ora decido di fermare il tempo davanti a questa chiesetta, promettendo di ritornare presto, per raccontarti dei suoi canyon, del suo albergo diffuso, dei suoi artisti e delle sue vigne.
Articolo di
Luca Vivan