La memoria si popola di strisce di terra e rumori di onde sbattute contro la barca, si colora di grigio e degli orizzonti che solo il mare sa donare. Le vaste acque salate sono un fascino che ti afferra anche quando non c’è il sole ed il caldo che vorresti.
In fondo, affrontare ciò che non ci si aspetta e non si conosce, fa parte del viaggio, una spinta a superare barriere invisibili, ad adattarsi, ad escogitare strategie per godere della bellezza dei luoghi. followgrado tbnet
L’ultima volta che sono stato qui a Grado, il cielo era uno sfrecciare di nuvole, accompagnato da un vento freddo che a tratti lasciava liberi pezzi di cielo e puliva l’orizzonte, regalando visioni delle prealpi friulane imbiancate dalla prima neve.
Questa volta, la Bora, il forte vento dell’est, era tornata a trovarmi, sussurrando piccole folate già alla partenza dal porto. Il capitano era però ottimista e auspicava il bel tempo. Quello che potevo fare era lasciarmi andare, farmi trasportare, affamato di dettagli per me nuovi.
Poco dopo essere usciti dal porto già si apriva la laguna, uno spazio di confine tra terra e mare, ostacolo per le popolazioni barbariche del V secolo d.C. e ancora oggi barriera tra il mondo di là, fatto di campi e industrie e quello di qua, che viaggia verso l’Adriatico, verso l’Istria.
Le lagune mi affascinano da sempre – forse anche per questo ho trascorso 6 anni a Venezia – perché sono un mondo mutevole, che cambia con le maree, un microcosmo di animali e piante rare, uno spazio misterioso, che appare sempre diverso, in base alle condizioni del tempo e a quelle dell’animo.
Arrivato alla Valle del Moro, una valle da pesca, a poche miglia da Grado, di cui si vedono i palazzi lontani, sembra già di essere fuori dal mondo: una barca pigramente legata ad un palo, le reti da pesca che attendono pazienti, una casa solitaria disturbata solo dai miei passi e dal vento che comincia ad alzarsi.
Qui c’è una delle 8 unità che compone l’albergo diffuso della laguna di Grado, un’esperienza giovane, nata nel 2010: una rete di case padronali all’interno di valli da pesca, come in questo caso, o di casoni, le tipiche abitazioni dei pescatori delle lagune venete e friulane, in grado di ospitare 50 persone tutto l’anno.
Lontani dagli hotel e i palazzi, dai viali e dalle spiagge, qui la sensazione è netta, quella di essere stati trasportati fuori dal clima tipico delle località balneari. Qui non ci sono gelaterie e pizzerie, negozi o viavai di persone e lingue straniere, solo le maree con il loro costante e immutevole movimento, il profumo salmastro delle piante di laguna che si attacca alla pelle, il silenzio che ti fa voglia di dire “lasciatemi qui, venitemi a prendere tra qualche giorno!”.
Le case si possono affittare tutto l’anno, perché dotate di riscaldamento, è non è difficile immaginarsi ben vestiti, con una tazza calda in mano mentre si fissa il tramonto che incendia questo piccolo mare, salato e dolce, anche d’inverno.
La fantasia salpa ed è ora di prendere una piccola barca, che si può noleggiare anche senza patente nautica, e con la dovuta attenzione che si deve agli ambienti naturali, scivolare sulle acque attorniate da un piccolo mondo a sé, dove emergono altre 200 isole, tra canali e spazi più aperti.
La mia barca dei sogni mi porta più lontano, nel silenzio di questo ecosistema delicato e mi fa fermare, immobile e senza fretta, senza bisogno di pensare, prima che la notte chiuda il giorno, ad osservare il volo di qualche raro uccello.
Articolo di
Luca Vivan